Viaggio nel monoteismo

- Pubblicità -

Recensione a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.

“Viaggio nel monoteismo tra identità, spiritualità e sottomissione” – edito da Bertoni Editore è un’interessante proposta in vendita per 14 euro in tutti gli store italiani. Scritto da Vincenzo Luigi Gullace:, il volume consta di 158 pagine di appassionato ed interessante approfondimento. La prima edizione è del giugno 2017. La casa editrice Bertoni si avvale sempre e da sempre di un team di persone qualificate, come conferma l’impaginazione realizzata da Costanza Lindi. In quarta di copertina si legge una citazione di Henri De Lubac “A volte noi crediamo di cercare Dio. Ma è sempre lui che ci cerca e spesso si fa trovare da chi non lo cercava affatto”. Il discorso ci accompagna nell’evoluzione del Dio di Israele da divinità locale a universale. Non una nascita, ma una trasformazione secondo il processo politeismo-monolatria-monoteismo. Pochi testi – anche tra quelli da me studiati al liceo Socio Psico Pedagogico, circa venti anni fa – hanno saputo affrontare l’argomento in maniera tanto esaustiva.

Nelle prime pagine del libro edito dalla Bertoni Editore si legge: “Questo libro rappresenta un piccolo viaggio alla ricerca dell’originalità tanto cara a Goethe, nel vasto, misterioso e variegato mondo del monoteismo. Da tempo stavo maturando l’idea di dare corpo e sostanza al mio pensiero riguardo questo straordinario e fondamentale tema che è il monoteismo. È nato uno straripante desiderio di scrivere qualcosa in particolare, sulle tre peculiarità che danno senso e corpo al monoteismo, ossia l’identità, la spiritualità e la sottomissione, qualità che identificano e differenziano le tre fedi che si rifanno al monoteismo. Questo studio vede la luce, quindi, come una reazione composta all’arbitrio accademico di un docente che, con falso innocente pudore, tende a sedurre e condurre artificiosamente la parte fragile del pensiero umano su argomenti storici delicati e, nella fattispecie, riletti e riconsiderati unilateralmente per essere consegnati come verità incontestabile. Nella storia dell’umanità, specialmente per quanto attiene le religioni, esiste una sola grande certezza: nulla può cambiare l’uomo della storia, se essa stessa non lo consente. La storia quando trova il giusto e necessario riscontro, è immutabile!”.

Già da queste parole i lettori possono comprendere il senso della lettura. L’autore non lascia nulla al caso come conferma anche la dedica che – forse – a tanti non dice nulla e che invece, a mio avviso, invece, è estremamente esplicativa: “Al mistero ineffabile”. Lo scrittore sceglie di inserire nella parte dedicata alla sua premessa una frase di Goethe “Gli scrittori più originali dei nostri giorni non sono quelli che portano qualcosa di nuovo, ma quelli che sanno dire cose risapute come se non fossero mai state dette”. Nell’introduzione, invece, fa riferimento a Seneca, il quale affermò “Che cos’è Dio? La mente dell’Universo. Che cos’è Dio? La totalità di ciò che vedi e di ciò che non vedi. Così finalmente si riconosce alla divinità la sua grandezza, della quale non si può pensare nulla di più grande…”.

Le mie sensazioni ed i miei pensieri alla fine del libro sono stati vari ma uno ha preso il sopravvento su tutti: Dio è Amore. Ho avuto occasione nel corso della mia vita fino ad oggi, attraverso conoscenze e amicizie, di affacciarmi ad altre religioni sebbene con la maturità attuale abbia scelto con gioia di abbracciare quella cristiano cattolica. Dio ha fondato la sua chiesa a Roma con l’intento che tutto il mondo potesse essere nutrito della Sua Parola. La società attuale, ahimè, si sta cibando del peccato lasciando a Dio piatti sporchi con gli avanzi. Si è persa la vera essenza della vita terrena. Siamo anime a cui viene affidato un corpo in prestito, che va poi in frantumi. Nulla ci appartiene se non l’anima che non curiamo abbastanza perché troppo presi dal nostro ego smisurato dalla vanità terrena. Al cospetto di Dio non ci verrà chiesto quanto pesiamo, quanto siamo alti, quanto siamo belli: il Creatore ci metterà davanti a noi stessi ed alle nostre coscienze, ai nostri errori umani ed ad avere importanza sarà il bene fatto agli altri e non a noi stessi.

Il termine monoteismo è di derivazione greca ed è formato dal prefisso mono, che significa uno, e dalla parola teismo, che si riferisce a Dio. Di conseguenza, indica quel credo religioso che sostiene l’esistenza di un solo Dio. Concezione si oppone al politeismo, che si fonda sulla co-esistenza di una pluralità di divinità. Tra tutte le religioni, ce ne sono tre tra le più importanti che si caratterizzano per questo tipo di approccio: cristianesimo, islam ed ebraismo che coincidono nel culto di un solo Dio, considerato l’unico vero. È bene ricordare, però, come ci siano anche altre religioni monoteiste (ad es. Zoroastrismo o sikhismo). E il politeismo? Esso può essere ritrovato nelle credenze romane e greche, così come in alcune religioni orientali. Il binomio monoteismo-politeismo non è l’unico possibile approccio religioso, dal momento che ci sono altre confessioni prive di un vero e proprio Dio, come il buddismo. Più nel dettaglio, i monoteisti credono che colui che è responsabile della creazione di tutte le cose nell’universo sia solo un Dio. I politeisti, al contrario, sono convinti che ogni particolarità della natura o dell’attività umana sia di attinenza di divinità diverse.

Alcune religioni monoteistiche adottano poi il concetto di monoteismo etico, sviluppato dagli Ebrei, che consiste nell’idea che Dio sia la base per l’etica nella società. Va sottolineato anche come oggi l’idea monoteistica, che considera inesistenti le divinità venerate dalle altre religioni, è accusata da qualcuno di favorire l’intolleranza e lo scontro tra le culture. Del testo di Gullace mi sembra particolarmente significativo il passaggio che evidenzia il concetto legato alla volontà di Dio: “Dio ha creato la vita e in essa ha modellato l’uomo con un solo immenso intento, renderlo felice, ma l’uomo non vuole comprendere il valore di questo dono, perché preferisce l’effimero all’eterno”. Questo, ci spiega l’autore, perché è più semplice essere attratti dalle cose mondane e dall’apparenza del mondo che dall’Aldilà e dalla spiritualità. L’amore di Dio però non è stato da noi recepito nonostante siano trascorsi centinaia di anni dall’evento straordinario di Betlemme, poiché l’uomo vive ostinatamente come se il Figlio di Dio non fosse mai venuto ad abitare in mezzo a noi. Odio, violenza, belligeranza, ingiustizie, sopraffazioni gratuite nei confronti dei più deboli e degli esclusi, scandali e vergogne nei vertici della classe clericale ci fanno considerare che l’uomo preferisce il peccato all’amore del Dio Bambino. Il fenomeno sempre più dilagante del relativismo etico e dell’indifferentismo religioso, che relegano Dio a soprammobile o a oggetto inane del quale servirsi quando fa comodo dimostrano che l’intesa fra Dio e uomo è ancora lontana. Non perché la divinità sia incapace di accedere al cuore umano, ma perché questo rifiuta di lasciarsi interpellare da Dio, preferendo essere avvinto da melensaggini e frivolezze. Perfino il Natale viene al giorno d’oggi interpretato dalla società dei consumi come occasione di business e trasgressione, come tempo vacuo e distorto di bagordi e di gozzoviglie o di eccessi inani e controproducenti.

Dio non si arrende però alle nostre preclusioni e nel bambino di Betlemme continua a richiamarci alla comunione con sé e con noi stessi, non cessando di coniugare per noi onnipotenza e rivelazione nel comune denominatore dell’amore. Comunemente se pensiamo all’eterno “assoluto” ci viene da riferirci a qualcosa che è al di fuori di noi ed è straordinariamente immenso, nei confronti del quale l’uomo si rende conto che è meno del “pulviscolo sulla bilancia”. Molto spesso le persone che hanno tutto, dal punto di vista materiale ed economico, inconsciamente cercano disperatamente qualcosa di assoluto perché tutto appare loro come vuoto, insignificante, meramente effimero. Parallelamente chi ricerca sé stesso nella propria dimensione spirituale percepisce tutto come un dono. Pensiamo alla religione cristiana, o buddista, o ad altre, dove tutto ciò che è stato creato è ritenuto come manifestazione Divina; i propri seguaci trovano attraverso la meditazione la dimensione eterna già su questa terra, l’illuminazione della mente e del cuore e riescono a vivere in quel momento l’esperienza di una dimensione non più terrena ma celeste. Esiste un Eterno assoluto, l’eterno per antonomasia, ma esiste altrettanto un eterno in relazione alla situazione sperimentata e al proprio vissuto. E pur nella consapevolezza che tutto è passeggero l’uomo cerca costantemente una dimensione eterna. Nella società attuale quel che importa è solo l’apparire, il possedere (senza rendersi conto di essere noi stessi posseduti dalle cose, di essere un numero votato all’acquisto), il divertimento, l’estetica secondo i canoni contemporanei, la corsa contro il tempo per mantenersi in eterna giovinezza. Ma questa, inevitabilmente, sfiorisce insieme all’incanto che le appartiene, il corpo si consuma; invece, la bellezza interiore resta e caratterizza la persona durante tutta la sua esistenza. La magnificenza del corpo dura un tempo ma poi ritorna in chi nasce dopo di noi nel ripetersi perenne della forma nella materia. È il perpetuarsi della creazione in tutta la sua bellezza. Un concetto questo ripreso da molti filosofi. S.Agostino recita: “il cuore dell’uomo non riposa finché non incontra l’Eterno”, e questa sua appartenenza interiore profonda supera tutto ciò che è immanente e passeggero. Questo sigillo porta i credenti nella risurrezione, della vera vita oltre il passaggio terreno, a ricercare quella dimensione spirituale, inscindibile da quella materiale, che dà compiutezza all’essere umano già su questa terra e che gli dà la consapevolezza che niente è vano anche se transitorio. La prospettiva dell’immortalità, della meta ultima, li accompagna ogni giorno dando loro l’energia per superare ogni arresto dell’umano esistere nella speranza del raggiungimento della felicità senza fine, quella della pienezza della vita, la dimensione eterna, “dove non ci sarà pianto, né lamento”, sia già su questa terra che oltre la propria morte fisica, che in realtà non è altro che una trasformazione, un passaggio all’oltre.

Per i credenti in un Dio, l’Eternità è mentalmente rappresentata dal bianco, somma di tutti i colori, in forma di una luce sfolgorante. Per altri l’Eternità è invece rappresentata dal nero, dall’infinito spazio che contiene miliardi di corpi celesti dell’inconoscibile Universo. L’uomo è un’energia in movimento, che disegna tracce con il suo passaggio. Il cuore dell’uomo è un abisso che se non viene illuminato non ha capacità di far sbocciare la vita, il bene, il bello. L’uomo è costantemente tra due poli: il bene e il male e può, per il suo libero arbitrio, costantemente scegliere l’uno e l’altro. Entrambe le possibilità producono conseguenze eterne. Dio è amore. Divina Trinità, perfetta carità. Se noi amiamo Dio Lui abita in noi e così noi dimoriamo in lui. Egli ci dona quotidianamente il suo Spirito, ci ha dato l’esistenza e ha mandato il suo Figlio Gesù perché desse la vita per noi.

Dio per primo ha scelto noi e per amore nostro ha sacrificato Suo figlio offrendolo con Amore per la salvezza dell’intera umanità. “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16).  È un annuncio forte e chiaro anche per noi, oggi, che ci sentiamo a volte travolti da eventi imprevedibili e difficilmente controllabili, come la pandemia o altre tragedie personali o collettive. Ci sentiamo smarriti e spaventati e forte è la tentazione di chiuderci in noi stessi, di innalzare muri per proteggerci da chi sembra minacciare le nostre sicurezze, piuttosto che costruire ponti per incontrarci.

Come è possibile continuare a credere nell’amore di Dio in queste circostanze? È possibile continuare ad amare? Un prezioso suggerimento per vivere questa Parola del Vangelo ce lo offre Chiara Lubich: «Non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il Crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore. Cerchiamo di amare gli altri, i prossimi che ci stanno attorno. Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima sarà pervasa di pace, di luce. E, ricchi di questa esperienza, potremo aiutare più efficacemente tutti i fratelli a trovare beatitudine fra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti”.

Lo scrittore Vincenzo Luigi Gullace laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Messina e in Scienze Strategiche all’Università degli studi di Modena, appartenente all’Ordine Francescano Secolare ed è ideatore e conduttore del programma radiofonico “Il Messaggio di Medjugorje” su Radio Comunità Cristiana in Blu, oltre che fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Il granellino di senape”.

E’ autore di saggi e biografie storiche. Libri pubblicati: “Viaggio nel monoteismo tra identità, spiritualità e sottomissione” Bertoni Editore 2017; “L’altro Napoleone” Morlacchi Editore 2018;  “Abramo Lincoln e il sogno americano” Morlacchi Editore 2019;  “Globalizzazione dell’integralismo religioso” L’Onda Editore 2020; “Manuale cristiano di sopravvivenza spirituale” Morlacchi Editore 2021.

Nel corso della sua carriera ha ottenuto numerosi riconoscimenti letterari: 1° classificato sez. saggi al XII Premio Storico Letterario Metauros 2021 con il libro “L’altro Napoleone;

Segnalazione di Merito al XVII Premio letterario Vitruvio 2022 con il libro “L’altro Napoleone”; 1° classificato sez. saggio storico religioso al XIII Premio Storico Letterario Metauros 2022 con il libro “Viaggio nel Monoteismo tra identità, spiritualità e sottomissione”.

Quali sono i riferimenti a cui ti ispiri nell’ambito della scrittura?
Più che di riferimenti parlerei di fonti d’ispirazione che nascono dell’esigenza di approfondire personaggi storici o argomenti che abbiano una base solida e consolidata. La mia attenzione è, quindi, sempre rivolta a temi connessi con la storia. Desidero precisare, però, che non sono uno storico, bensì un commentatore storico.

Quale progetto ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Tra tutti i testi finora pubblicati, credo di poter indicare come maggiormente rappresentativo quello inerente il Monoteismo. Questo lavoro è nato in modo assolutamente casuale e forse proprio per questo lo amo più degli altri. Infatti per realizzarlo ho interrotto un altro progetto già avviato: si tratta, pertanto, di una felice infatuazione che ha scatenato un profondo desiderio di proporre un viaggio letterario nel grande, variegato, affascinante e per molti sconosciuto mondo reale del monoteismo.

Qual è l’importanza del Genius Loci nel tuo lavoro?
Non riesco ad individuare nessun particolare Genius Loci nella mia passione per la scrittura, forse perché potrei affermare che sono tanti e variano per ciascun elaborato concluso o in itinere.

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Riassumo con un’unica risposta le due domande. Un’opinione che pervade molti scrittori è quella di non dare troppa importanza al passato per non rallentare il processo relativo al futuro sia per l’evoluzione umana, sia per i progressi scientifici. Ebbene, io penso l’esatto contrario. Il passato non può essere ridotto a mera rimembranza, deve continuamente fornire elementi di didattica evolutiva per la necessaria formazione e conseguente crescita dell’umanità, secondo un rapporto equivalente tra genialità e spiritualità da custodire e approfondire nel tempo.

In un’epoca di post verità, il concetto di sacro ha ancora importanza e forza?
Secondo me la sacralità è una pietra miliare.

Quale consiglio daresti ad un giovane che desiderasse intraprendere il tuo identico cammino nell’ambito della scrittura?
Io ho cominciato in età matura, per cui mi permetto di rivolgere un consiglio a tutti quelli che sentono il desiderio di dedicarsi alla scrittura. Prima di tutto occorre essere umili nella consapevolezza che scrivere non è un mero atto di manifestazione del pensiero sic et simpliciter che vale per tutti. Questo pensiero vale per me in primis; mi ispira da sempre, e mi aiuta nella mia mediocrità.

La scrittura, a mio parere, rappresenta l’atto conclusivo di un processo di costruzione culturale e intellettuale che presuppone conoscenza e adeguata capacità espositiva. Ritengo che il sistema più efficace per favorire un veloce progresso personale tale da consentire di scrivere libri di qualsivoglia specie, sia quello di curare la conoscenza della nostra meravigliosa lingua per migliorarla e porre rimedio alle possibili criticità e leggere moltissimo e di tutto. Deve trattarsi, però, di una cura e di una lettura appassionata perché scrivere significa esprimere autentica passione.

Come immagini il futuro? Potresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Cerco di non immaginarlo; vivo il presente con una certa preoccupazione, non posso negarlo, ma anche con grande fiducia, non verso l’uomo, ma verso Dio.

Non sono uno scrittore di narrativa e la mia fantasia in questo caso non mi aiuta ad esprimere tre idee per gli anni a venire. Però, da amante della storia, non ho dubbi nell’indicare la speranza come una straordinaria virtù che può guidare il nostro incedere in questo mondo. Una speranza fatta di certezze e non di pii desideri. Una speranza che nulla ha a che vedere con certa scienza che si accanisce nella ricerca di improbabili, nella migliore delle ipotesi, origini della vita studiando particelle atomiche o riducendo l’esistenza umana ad una semplice formula matematica.

La mia speranza nasce e si alimenta dalla storia umana e spirituale dell’umanità.