Ci sarà una volta… Jacopone

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Articolo a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.

Jacopone da Todi, stanco di vagare per l’iperspazio, decide di rientrare nella sua adorata terra d’origine, per vedere come stanno le cose e rendersi conto dei cambiamenti. Siamo intorno all’anno 3000 e la città gli appare completamente irriconoscibile, tanto che vorrebbe scappare. Incontra però un gruppetto di giovani del futuro, che non sa nulla di lui, ormai sepolto anche nella memoria collettiva, e così si svolge la vicenda tra passato e futuro: Jacopone racconta ai ragazzi di sé, la sua vita, i primi amori, la conversione, le laudi, la lotta contro la corruzione della Chiesa, la prigionia e i giovani lo rendono partecipe di ologrammi, avatar, teletrasporto, proiezioni di vita dal passato al futuro e viceversa e intelligenze artificiali. Tra loro nasce anche una sorta di amicizia, sebbene i due mondi e cioè il Medioevo del frate e il futuro robotizzato dei giovani, siano così distanti e diversi. Attraverso le tecniche delle fantasmagoriche strumentazioni tecnologiche, i ragazzi riescono a ricostruire, come fosse una proiezione in video, la Todi degli anni del frate. Il finale è a sorpresa:  ci  sarà un’ altra volta Jacopone? O forse due o tre? Chissà!!

Dettagli…

Autore: Andrea Carbonari.
Illustratore: Elen Carbonari.
Editore: Bertoni.
Anno edizione: 2023.
In commercio dal: 30 settembre 2023.
Pagine: 228.
Genere: illustrato con brossura.
Età di lettura: dai 10 anni.
EAN: 9788855356541.

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Intervista

Qual è stata l’ispirazione dietro la tua ultima opera “Ci sarà una volta… Jacopone”?

Ci sono quattro momenti importanti, nel corso di vari anni, che chiarificano e precedono la stesura del libro.
Diciamo che la fase di gestazione è stata lunga e risale ai tempi del Liceo a Todi, appunto il Liceo Jacopone; qui ho avuto la fortuna di aver avuto un’insegnante di Italiano fantastica, per me maestra e mentore, che ci ha comunicato la passione per la letteratura e la dedizione allo studio, come analisi strutturale sì, ma anche come pura gioia del „piacere del testo“. Con lei abbiamo trascorso ore senza tempo nella lettura, analisi e interpretazione dei grandi Classici della Letteratura Italiano e, di certo, non poteva mancare Jacopone, per noi di Todi, suoi fieri concittadini. Ricordo ancora come fosse ora, la felicità nell’imparare a memoria il „Pianto della Madonna“, che poi a Todi vien rappresentato nei luoghi medievali  più suggestivi, tuttora intatti, come la Piazza o la chiesa di San Fortunato. „Donna de Paradiso, lo tuo figliolo é priso, Jesu cristo beato. Accurre donna e vide che la gente l’allide, credo che lo s’occide, tanto l’on flagellato“ e via via versi che mi si sono rimasti impressi nella memoria e che nessuno potrà mai cancellare, anche se dovesse arrivare un altro tempo che decidesse il „rogo dei libri“. Penso che io e i miei compagni di Liceo faremmo come Montag, il protagonista di “Fharenheit 451”, che salvò molte opere scritte, grazie al potere di  Mnemosine. E questo è stato il primo incontro con Jacopone.
Più tardi poi, molto più tardi, in qualità di docente dell’Istituto di Romanistica dell’Università di Colonia, ho tenuto un corso seminariale sulla „Letteratura italiana delle origini“ e, con mia grande soddisfazione, ho presentato agli studenti le laudi di Jacopone da Todi. Beh…non ci crederete, ma fu un insuccesso clamoroso! Sì, proprio così, clamoroso! Sarà stato perché il pubblico degli studenti era, per gran parte, germanofono  e quel volgare delle laudi, misto a latino, era per loro lontano e particolarmente ostico; o forse perché la materia trattata: misticismo, Dio, amore, povertà, papi corrotti, non li ha interessati; o magari per il fatto che io, docente molto giovane e alle prime armi, fossi molto pedante, puntiglioso, troppo analitico con tutti i riferimenti storico-filologici, tanto da risultare noioso, insomma, con mio grande dispiacere non riuscii a comunicare il mio entusiasmo per le opere di Jacopone.
Mi rifeci però qualche anno dopo, e questo è il terzo momento della vicenda, ed esattamente quando al Liceo Linguistico bilingue “Italo-Svevo” di Colonia assunsi la cattedra di Professore di Lingua e Letteratura Italiane. Di fronte a me studenti di una classe terza, essenzialmente italofoni, molto impegnati e pieni di buona volontà, che accolsero le vicende della vita e delle laudi del frate tuderte con interesse e apprezzamento. Alcuni di loro, proprio come me allora liceale, si dilettarono nell’apprendimento a memoria di alcuni versi; altri, curiosi di visitare i luoghi jacoponici, andarono addirittura in vacanza in Umbria, con sosta a Todi, colpiti dal tanto clamore che aveva suscitato in loro la storia del frate giullare di Dio e acerrimo nemico di papa Bonifacio VIII.
Ma l’ultimo e decisivo momento per la stesura del libro, lo devo ad una chiacchierata vespertina nei luoghi cari a Jacopone, avvenuta qualche anno fa (era il periodo della pandemia) con il prof. Claudio Peri, che, da anni ormai, si occupa del frate e mistico tuderte, promuovendone la conoscenza. In quell’occasione mi si chiarì l’obiettivo, di quanto stavo per accingermi a scrivere e cioè il tentativo, poi riuscito o meno giudicheranno i lettori, di far scender Jacopone dal freddo scranno accademico, appannaggio solo di filologi, medievisti e studiosi universitari e, per così dire „darlo in pasto“ ai giovani d’oggi e, perché no, di domani.
Mi spiego meglio: raccontare la vita, le vicissitudini e la poesia del mistico tuderte in modo accattivante, più vicino ai giovani e in modo originale. Tentativo impossibile? Non potrò certo giudicarlo io, ma per calarmi maggiormente nelle menti e nei cuori delle nuove generazioni, ho pensato a un ritorno fantascientifico di Jacopone nella sua terra nel 3000: in un futuro ipertecnologico e inquietante al tempo stesso e farlo dialogare e poi relazionarsi con un gruppetto di ragazzi dell’era  degli avatar, ologrammi, teletrasporto, intelligenze artificiali e creature umanoidi; due mondi contrapposti che cercano di compenetrarsi e intendersi.
Sì, un romanzo  pensato per i ragazzi, per spiegare loro, in maniera semplice, anche le più complesse laudi jacoponiche, ma anche  per tutti coloro che si pongono l’eterna domanda: come vivremo ( o meglio vivrà l’umanità, ammesso che ci arrivi…) in un remoto futuro? Ci saremo completamente robotizzati? La Scienza avrà debellato la malattia e la morte? Come saranno le nostre città? Ci saranno ancora i sentimenti che ci spingono ad essere umani? Potremo sostenere, come Terenzio che „Homo sum, humani nihil a me alienum puto ”?
Ecco, dunque, che questo quarto momento ha rappresentato la scaturigine vera e ispirazione ultima per l’inizio della scrittura del romanzo: un intreccio di storia, leggenda  e fantascienza.

Come mai hai scelto il genere romanzo come forma espressiva per queste 228 pagine edite da Bertoni Editore?

In verità quando scrivo mi trovo più a mio agio nei generi letterari di breve respiro, come storielle, novelle e racconti, perché credo che nella miniatura risieda la vera arte; cioè la sintetica capacità di arrivare al centro del discorso, senza disperdersi in troppi dettagli, descrizioni, elencazioni. In tedesco c’è un bel proverbio che recita: „In der Kürze liegt die Würze“  e cioè  „Nella brevità sta l’essenziale“ e questo è ciò a cui tende chi scrive: un po’ come ci insegna anche Umberto Saba nell’ „Ernesto“.
Inoltre un genere letterario di largo respiro può avere dei momenti di caduta di stile, di troppe e inutili vicende collaterali, perdersi nei vari personaggi; sì, insomma generare  noia e questo mi spaventava molto. Mi sono però armato di coraggio, pensando anche ai grandi romanzieri della letteratura del Novecento, come Thomas Mann o Marcel Proust, Musil, che nelle migliaia di pagine da loro prodotte, pur avendo dei momenti descrittivi eccessivi e parti un po’ faticose nella lettura, restano però grandi Classici senza tempo; così, nel mio piccolo (per carità mi reputo “scrivente” e mai mi azzarderei ad accostarmi agli scrittori citati…)  mi sono voluto cimentare nella scelta del romanzo, sia perché la materia trattata era tanta: le fasi della vita di Jacopone, le sue opere, la sue vicende collegate ai ragazzi del 3000, e sia perché la scrittura romanzesca mi ha permesso di fondere insieme la parte storica, relativa alla vicenda terrena del frate, sia quella leggendaria, visto che alcuni episodi vagano ancora tra realtà e fantasia e, in particolar modo nella seconda parte del romanzo, ho utilizzato uno stile vicino alla science fiction per le ambientazioni future o futuribili, per cui, come specifico nella nota introduttiva, mi sono stati di grande aiuto e ispirazione i romanzi di altri due Classici della fantascienza: Isaac Asimov e Aldous Huxley.

Quali argomenti sono ricorrenti nel tuo libro?

In primis sicuramente gli argomenti cari alla figura di Jacopone da Todi; la sua vita, molto simile a quella di San Francesco; la giovinezza nel lusso di una  disordinata lussuria, la rinuncia alla vita dissoluta, ai precetti del padre, la conversione al francescanesimo, il misticismo legato all’amore per Dio, la vita errabonda e missionaria, la feroce critica alla corruzione della Chiesa, incarnata dal satanico papa Bonifacio VIII, la prigionia e la sofferenza del corpo e dell’anima e alla fine la riconquista di una moderazione, come „misura“ in tutte le cose, tanto cara anche a Dante Alighieri.
Accanto a queste tematiche biografiche e religioso-storico-politiche, man mano che scrivevo e che l’amicizia tra il frate  e i giovani del XXXI secolo andava approfondendosi, sono emersi aspetti nuovi legati al mondo del futuro, ma in gran parte anche passato e presente, come l’amicizia, la fratellanza. l’orrore delle guerre, la morte e il superamento della stessa in una dimensione immaginifica e infine i “miracoli” della Scienza in visioni però disumanizzate e i misteri della religione. Nella parte dedicata al „villaggio Jacopone“, sulla falsa riga del “Mondo Nuovo” di Huxley, si aprono discussioni su argomenti fantascientifici, ma di certo anche piuttosto distopici e inquietanti. Non rivelo altro per lasciare ai lettori la curiosità degli effetti a sorpresa. Non mancano nemmeno spunti musicali che variano dallo “Stabat Mater” a un rapper sul testo di “Iubelo de core”, fino al più recente „Zitti e buoni“ dei Maneskin. (Si veda per questo la playlist in appendice al libro).


Le immagini sono a cura di tua figlia… Raccontaci.

E questa è l’aspetto  più bello della mia passione creativa: la collaborazione con mia figlia Elen. Fin da piccola, Elen, ha sempre letto molto e, un po’ come gioco un po’ come esercizio, ci siamo letti dei libri che ci piacevano ad alta voce: a turno, io, lei, mia moglie; in italiano e tedesco. Ora preferisce leggere libri in inglese, anche per ragioni di studio.
La collaborazione vera e propria,  accanto ad anni di letture che mai termineranno, è nata quando ho iniziato a pubblicare libricini per bambini. Il primo, nel 2013,  dal titolo „Animali sui pianeti. Filastrocche” (Ex-libris, Palermo): una serie di filastrocche che, una volta scritte, abbiamo letto insieme, poi lei ha scelto le sue preferite e, ha dato spazio alla sua creatività inventandosi le illustrazioni; la stessa cosa è accaduta con i miei lavori successivi: “Mo(n)di in rivolta“ (Apollo edizioni) e „I racconti del favoliere“ (Bertoni, Perugia), con colori a cera e acquarello, ha sempre seguito le sue impressioni, ricavate sì dalla lettura dei testi, ma realizzate poi seguendo soprattutto la sua fantasia di bambina (allora!).
Per quanto riguarda „Ci sarà una volta…Jacopone“  mia figlia ha prima letto con attenzione  il romanzo e, devo dire, mi ha fatto molto piacere il suo giudizio positivo. „avvincente e si legge volentieri“, sia pur con qualche distinguo (i giovani, si sa,  sono molto critici); poi abbiamo scelto insieme alcune parti salienti del romanzo ed Elen, questa volta munita di iPad e programma di grafica per computer, ha realizzato le illustrazioni.
Queste le sue parole a proposito, quando, per la presentazione del libro avvenuta a Todi in ottobre, è stata proiettata una sua video intervista :
„devo dire che non è stato facile immaginarmi una Todi del 3000 e poi realizzarla con “carta e penna” diciamo, pertanto ho dato maggiore spazio alla mia fantasia, per entrare in un mondo che non c’è; ho cercato comunque di fare del mio meglio, per restituire in immagini, quello che le parole degli episodi scelti, avevano suscitato in me.“

Metti in contrapposizione il mondo religioso con quello informatico…
O meglio il Medioevo del frate e il futuro robotizzato dei giovani. Qual è il tuo obiettivo?

No, non vengono messi in contrapposizione i due mondi, almeno non era nelle mie intenzioni, ma al contrario avvicinati, messi a confronto, per scorgerne somiglianze e differenze; c’è un interscambio di informazioni, storie, modi e mondi di vita e valori, su cui i lettori cercheranno di riflettere. I ragazzi del 3000 vengono a conoscenza di una dimensione spirituale a loro del tutto estranea e Jacopone si apre alle meraviglie di avatar, ologrammi, teletrasmissioni, viaggi nel tempo, apprezzandone alcuni aspetti e divertendosi anche. Così futuro e passato, scontrandosi e compenetrandosi l’uno nell’altro, ci possono rendere un’idea dello sviluppo, che lo si voglia o no, di un’umanità dominata dalla Scienza, da Intelligenze artificiali e dalla Robotica, che tuttavia anela, nel suo profondo, al mistero di una religiosità, di cui il frate tuderte si fa portavoce.
L’obiettivo, o meglio il tentativo, non è certo quello di dare risposte o proporre apodittiche verità, che non esistono, quanto piuttosto sollevare dubbi, porre delle domande e indurre a riflettere in maniera dialettica sugli argomenti trattati; il tutto sempre intessuto con elementi fiabeschi, giocosi, comici, ironici ed autoironici, che mai dovrebbero mancare tanto nella vita, quanto nella scrittura.
Il finale, a sorpresa, resta aperto proprio per sottolineare la libertà dei lettori a optare per diverse (im)possibili soluzioni, come rivelano i pensieri conclusivi dei ragazzi, che si congedano, almeno apparentemente, da Jacopone.

Quanto c’è di te in Jacopone?

Rispondo invertendo i fattori: quanto di Jacopone c’è in me?
In quanto tuderte, posso dire che il sangue di Jacopone scorre nelle mie vene, come in quelle di ogni mio concittadino. Per noi di Todi il frate mistico e poeta è un’icona, un punto di riferimento, un antenato che sentiamo familiare per i suoi aspetti religiosi, ma anche di caustica critica alle istituzioni dell’epoca e come giullare di Dio; è un po’ come Francesco e Assisi, Dante e Firenze, un binomio, direi un’ endiadi indissolubile: Todi è conosciuta come la città di Jacopone; del frate sono rintracciabili, tra storia e leggenda, i luoghi in cui probabilmente è vissuto: la piazza, la casa dei genitori, il convento di San Fortunato, la prigione; su di lui si fanno molto spesso convegni e studi a cura dell’”Accademia Tudertina”, cui convengono esimi studiosi, filologi, medievisti, professori universitari; si recita il Pianto della Madonna durante il Venerdì Santo e si sente ancora risuonare un’epocale “Stabat Mater” diretta dal maestro Bosso, qualche anno fa, proprio nella chiesa di San Fortunato, sopra la tomba del frate. Insomma non c’è tuderte che non conosca Jacopone o che non sappia alcuni dei suoi versi a memoria.
Per me, scrivere questo libro, ha significato ritornare alle origini e riappropriarmi delle mie radici, visto che da tanti anni ormai sono docente in Germania, anche se spesso ritorno nella mia città natale; un tuffo nelle pietre, nei vicoli, nelle piazze, nei luoghi più cari della mia infanzia e giovinezza e cercare di viverli e vederli sia con gli occhi di Jacopone, che con gli occhi dei giovani del futuro, per tentare così un’operazione metatemporale; un modo per superare spazi e tempi, ma soltanto, ahimè, per il tempo della scrittura. Quindi, per tornare alla formulazione della tua domanda, di me in Jacopone c’è essenzialmente questo: quelle che per Proust erano le “intermittences du coeur” nel “nido” pascoliano, ma rivissute, per le tematiche legate al romanzo, con il distacco necessario, dato dall’esigenza di presentare l’uomo, il frate, il poeta, il feroce oppositore del papa e il dolce giullare di Dio, tanto nel suo contesto storico, quanto in un ipotetico contesto fantastico-immaginario. Concludendo: in me di Jacopone c’è di certo l’amore per Todi, la sua arte, la sua natura, i fantasmagorici personaggi “Jacoponici” che ancora la popolano, la sua cultura millenaria.

Come definiresti il ​​tuo stile attuale? E come inizia il processo di scrittura di un tuo nuovo lavoro editoriale?

Lo stile varia a seconda del genere letterario scelto, ma, in ogni caso, per me vale sempre e in assoluto quello che asserisce Italo Calvino nelle “Lezioni americane”, testo, a mio avviso fondamentale per tutti e, in modo particolare per noi “scriventi”, epigoni dei grandi Classici, da cui abbiamo tanto da imparare; ebbene per me, per il mio stile di scrittura,  vige in modo particolare la lezione di Calvino sulla “leggerezza”: togliere, alleggerire; lo stile letterario dovrebbe essere leggero e arioso, anche per liberarci dal peso della vita quotidiana, farci ridere e sorridere, perdere quell’aura tragica di seriosità, e, soprattutto, condurci all’essenziale, cercando di togliere appunto orpelli e agglomerati stilistici pesanti e superficiali, per farci ritornare nell’età fanciulla della meraviglia e, appunto, dell’essenzialità. Un po’ come Picasso che diceva di aver impiegato tutta una vita per tornare a dipingere come un bambino; ecco, probabilmente sarà questo il tentativo di uno “stile” di vita: eliminare il troppo, il superfluo, alleggerire, cercare quelle parole adatte a portare in superficie ciò che è basilare, ma con leggiadria, ironia e, perché no, giullaria.
Ugualmente il processo di scrittura inizia in modi molto diversi tra loro; a volte può essere un libro, un quadro, una musica, un episodio di vita vissuta, un viaggio, una passeggiata, uno sguardo. Tutto può dare il “la” per un’idea, all’inizio vaga, di una poesia o un racconto o una novella che poi, piano piano si dipana nella mente. Molte volte rimane nell’aria, senza concretizzarsi su carta; altre le situazioni, le persone, gli incontri, le musiche si fanno “personaggi in cerca di autore” e, magari, l’autore lo trovano pure che, allora, comincia a imbastire una storia, collegando realtà a finzione; storie a leggende. Adesso per esempio, siccome con Jacopone ho toccato con mano molti aspetti legati alla religione, a San Francesco, al Gesù dei vangeli, mi si è creata una nebulosa con due centurioni alla guardia del sepolcro di Cristo. Sarà l’inizio di una storia, un racconto, un dialogo teatrale? Mah, sinceramente ancora non lo so. Come d’altro canto, trattando con il Pianto della Madonna, il dolore eterno dell’essere umano ed essendo venuto a conoscenza di una storia tragica nel periodo della seconda guerra mondiale, forse i due elementi, per quanto diversi, si stanno combinando per un ulteriore romanzo, ma non so dove mi porterà questo vento.

Che ruolo gioca  l’emozione nella tua creazione letteraria?

All’inizio un ruolo fondamentale, perché di fatto sento proprio epidermicamente quel volto, quella musica, quella persona, quelle storie, che percepisco come mie e faccio entrare dentro di me; da alcune di loro poi scaturiscono le famose “voci dal sottosuolo”, che combinano le mie emozioni profonde con le vicende o i volti o gli sguardi, che hanno risvegliato l’interesse della scrittura; poi però da questo magma informe di sensazioni, situazioni, emozioni, voci ed eventi dovrebbe nascere una storia ed è questa la parte più difficile: quella razionale della dipanazione dei nodi interiori con precise indicazioni di luoghi, tempi, personaggi, caratterizzazioni, riferimenti storici. Questa è la parte che chiamo della matematica e del lenocinio preciso per la scelta delle parole. A volte la nuova materia per una scrittura si fa chiara in un colpo solo, con inizio, sviluppo e fine; altre volte, invece, per così dire, cresce con me e non so che direzioni prenderà. Insomma sarei tentato quasi di dire che la stesura di un testo è un coagulo di “misticismo e matematica”, per riprendere anche alcune concezioni di Robert Musil, di cui l’emozione è la scintilla primigenia.

Puoi svelare ai lettori un luogo che ti ha ispirato a scrivere parti del testo e come hai scelto le parole e le immagini ‘poetiche’ per comunicare, pagina dopo pagina, le tue emozioni?

Per “Ci sarà una volta…Jacopone” è stato facile, perché il luogo reale, dell’anima e in una dimensione visionaria futura è stata la mia città di nascita: Todi. Una Todi che ho rivisitato pietra per pietra, palazzo per palazzo, vicolo per vicolo per entrare meglio nei suoi meandri e in quelli delle vicende di Jacopone; ho rivisitato molto anche compiendo tante delle letture necessarie per affrontare il personaggio (si veda la bibliografia in nota) e con lui mi sono immerso nel Medioevo tuderte; poi però, per via dell’ambientazione intorno al 3000, mi sono catapultato nel mondo che sarà, cercando ovviamente degli appigli, dei gangli di collegamento nell’era post-tecnologica che stiamo sperimentando attualmente. Pertanto ho cercato di rivestire una Todi reale e interiore, con le fattezze iperuraniche della Todi futura, in un ludo di tempi che si rincorrono, dove “ieri sarà quel che domani è stato” (citazione tratta da G. Grass, riportata in esergo).
Non credo spetti a me dire se le mie parole e le immagine poetiche all’interno del libro suscitino emozioni e riescano a comunicare bene le stesse, ma di certo ai lettori.
E proprio insieme a un ringraziamento particolare al prefatore Gianluca Prosperi e a mia figlia Elen, che sono stati i primi lettori del libro, vorrei concludere questa intervista ponendo a suggello le parole di un’ulteriore attenta lettrice, nonché studiosa di Jacopone e per anni vulcanica ed eclettica bibliotecaria del Comune di Todi, Fabiola Bernardini, che così ha recensito “Ci sarà una volta…Jacopone”:

“Ho avuto il piacere di leggere il libro di Andrea in bozze e mi sono commossa sia per i tanti ricordi personali che mi legano allo Jacopone divulgato, sia nel riscontrare la capacità di raccontare storie antiche usando linguaggio, immagini e ipotesi tecnologiche che sono sulla stessa lunghezza d’onda di ragazzi molto giovani.
Jacopone parla in modo comprensibile e accattivante in questo libro anche quando narra le sue laudi filosofiche. Andrea lo ha reso fruibile mediando contenuti complessi: operazione non semplice. Molto interessante anche il tentativo ( secondo me riuscito) di laicizzare il pensiero jacoponico (si parla di aiutare il prossimo, chi è emarginato o semplicemente non omologato) e, nello stesso tempo, si racconta in modo realistico (NB: siamo nel XXXI sec) una società dove la scienza è il nuovo “Dio”. Il connubio con la musica, la colonna sonora che accompagna il romanzo, è il colpo da maestro che concretizza l’idea dell’universalità dell’animo umano. Jacopone che balla e canta insieme ad un gruppo di ragazzi la canzone dei Maneskin “Zitti e buoni” dicendo: “sono fuori di testa, ma diverso da loro” e che si emoziona nell’ascoltare lo “Stabat mater” di Pergolesi siamo tutti noi. Leggete questo romanzo, grandi e piccoli, appena sarà possibile perché ne trarrete solo una bella esperienza!E magari potremmo dire insieme a San Francesco: “Fratello Jacopone, rallegrati! Sarai il sorriso sulle labbra di chi ti ha amato e si ricorderà di te; sarai l’azzurro degli occhi di chi studia le tue opere, la voce di chi recita le tue laudi, la penna di chi scrive di te, il racconto della tua vita che parlerà a vecchi e giovani, la piazza dove si rappresenterà il pianto della Madonna, il nome di un liceo dedicato a te, il canto dello Stabat mater…”