Ospedale S. Pietro Fatebenefratelli 3° in Italia per volume di nascite.

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L’esperienza conta anche nei reparti di maternità. Un alto numero di parti eseguiti in un anno, infatti, si traduce in maggiori garanzie di sicurezza per mamme e bambini. È bene tenerne conto al momento di scegliere l’ospedale.

Su www.doveecomemicuro.it, portale di public reporting in ambito sanitario, che dal 2013 rappresenta un punto di riferimento per individuare la struttura in cui curarsi, è disponibile la classifica dei punti nascita per volume annuale di parti (fonte dei dati è il PNE 2018 di Agenas, riferito all’anno 2017). Nel nostro Paese, gli ospedali pubblici o privati accreditati che ne eseguono almeno 10 all’anno sono 445.

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In aumento, ma ancora bassa, la percentuale dei centri sopra i 1.000 parti

“Le evidenze scientifiche dimostrano che il volume di attività può avere un impatto significativo sull’efficacia degli interventi e sull’esito dell’assistenza per madre e neonato”, spiega Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e membro del comitato scientifico di www.doveecomemicuro.it. Perciò le autorità ministeriali hanno stabilito – con l’Accordo Stato Regioni del 2010 – la soglia minima di 1.000 parti annui tra i punti fermi per valutare la bontà di una struttura. In quanti la rispettano?

 

Dei 445 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia effettuano almeno 10 parti all’anno, solo 172 (il 38,7% del totale) superano i 1.000 parti annui: il 43% si trova al nord, il 20,3% al centro e il 36,6% al sud. Nell’edizione precedente (riferita all’anno 2016), le strutture totali – che eseguivano almeno 10 parti annui – erano 461, di queste il 38% raggiungeva la soglia ministeriale di 1.000 parti. “L’aumento delle strutture che rispettano lo standard e il relativo calo del numero totale degli ospedali indicano che stiamo andando nella giusta direzione per assicurare ai cittadini le maggiori garanzie di sicurezza”, spiega Elena Azzolini.

 

Le strutture pubbliche o private accreditate che, invece, eseguono tra i 500 e i 1.000 parti all’anno sono 184 (il 41,3% del totale): il 41,3% è situato al nord, il 15,2% al centro e il 43,5% al sud.

 

In calo gli ospedali sotto i 500 parti (ma ancora ben un quinto del totale)

Diminuiscono, di anno in anno, anche gli ospedali che effettuano meno di 500 parti annui che, in base all’accordo Stato Regioni del 2010, dovrebbero essere già chiusi. Secondo l’ultima valutazione del PNE relativa al 2017, sono 89 (il 20% del totale) contro i 97 (il 21%) dell’anno prima: il 40,4% è situato al nord, il 23,6% al centro e il 36% al sud.

 

Queste strutture nel 2017 hanno effettuato appena 26.461 parti, pari al 5,76% dei parti totali (459.399 parti): un volume di attività piuttosto basso rispetto ai 297.211 (64,7%) parti dei punti nascita che ne eseguono più di 1000 e ai 135.727 (29,54%) parti degli ospedali che ne effettuano tra 500 e 1000. La buona notizia è che la percentuale di parti eseguiti in questi centri poco performanti sta calando progressivamente: nel 2012 era pari al 7,1% (37.523 parti) mentre nel 2017 è scesa al 5,76% (25.951 parti). In 5 anni si è registrata quindi una diminuzione del 30,8%.

 

Quanto alla percentuale di parti effettuati nelle strutture in linea con le direttive ministeriali (quelle che eseguono più di 1000 parti annui) sta lievemente aumentando: nel 2012 si attestava al 64,2% mentre nel 2017 è passata al 64,7%.

 

Tra i limiti dei centri che eseguono meno di 500 parti annui c’è anche un elevato ricorso al parto chirurgico: delle 65 strutture di cui è possibile calcolare la percentuale di tagli cesarei (quelli cioè con volumi superiori a 220 parti), ben 59 (il 90,8%) superano il limite indicato dal ministero e solo 6 (9,2%) si mantengono sotto il valore di riferimento fissato al 15% (per le maternità che eseguono meno di 1.000 parti).

Per garantire una maggiore sicurezza, questi centri andrebbero accorpati o riconvertiti, ad esempio in ambulatori. Un discorso a parte va fatto per gli ospedali situati nelle valli o in montagna, località difficili da raggiungere, in cui dei punti nascita devono necessariamente esserci anche se i loro volumi di attività non sono in linea con gli standard”, spiega Grace Rabacchi, Direttore Sanitario dell’Ospedale Sant’Anna – A.O.U Città della Salute e della Scienza di Torino.

 

Giusta proporzione di tagli cesarei: indice di adeguatezza delle cure

La giusta proporzione di tagli cesarei, insieme ai volumi, è tra i fattori più importanti a cui guardare al momento di scegliere l’ospedale, perché è indicativo dell’adeguatezza dell’assistenza prestata. In Italia, il regolamento del Ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera (DM 70) fissa i valori massimi relativi ai cesarei primari al 25% per le maternità che effettuano più di 1.000 parti annui e – come detto precedentemente – al 15% per quelle che ne eseguono meno di 1.000.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, invece, afferma fin dal 1985, che una proporzione di cesarei superiore al 15% non è giustificata. “Rispetto al parto vaginale, il parto con taglio cesareo comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino, motivo per cui dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni materne o fetali specifiche”, spiega Elena Azzolini.

 

In crescita la percentuale di punti nascita che rispettano anche lo standard sui cesarei

Dei 172 ospedali pubblici o privati accreditati che effettuano più di 1.000 parti all’anno, 107 (il 62,2%) vantano anche una percentuale di tagli cesarei inferiore al 25%, come indicato dalle autorità ministeriali: il 63,5% è situato al nord, il 20,6% al centro e il 15,9% al sud. “Anche in questo caso, la percentuale di strutture in linea con i parametri fissati dal ministero è salita dal 58% del 2016 al 62,2% del 2017, il che significa che, seppur lentamente, siamo sulla buona strada”, spiega Elena Azzolini.

 

Delle 184 strutture pubbliche o private accreditate che eseguono tra i 500 e i 1.000 parti, invece, solo 26 (il 14,2%) hanno un tasso di tagli cesarei inferiore al 15%: l’84,6% si trova al nord, il 7,7% al centro e il 7,7% al sud.

 

Parto chirurgico: in progressivo calo nel nostro Paese

Sebbene l’Italia sia tra i Paesi che effettuano più cesarei in Europa, negli ultimi anni si è assistito a un costante miglioramento della situazione: dal dato medio nazionale del 29% del 2010 si è passati, infatti, al 23,3% del 2017 (anno in cui si stima che a oltre 17mila donne è stato risparmiato un taglio cesareo primario). Nell’ultimo anno di valutazione la percentuale è scesa ulteriormente: nel 2016, infatti, la media nazionale si attestava al 24,5%. Rimangono, però, importanti differenze all’interno di ogni singola regione e tra le regioni su cui occorre lavorare.

 

Come scegliere il punto nascita?

Volumi e giusta proporzione di parti cesarei sono due fattori importanti da guardare perché indicativi dell’esperienza e dell’adeguatezza delle cure prestate, ma ci sono anche altri aspetti da non sottovalutare. Le donne, in genere, hanno aspettative precise riguardo al momento della nascita del loro bambino: c’è chi ci tiene a partorire nel modo più naturale possibile, chi vuole assolutamente contenere il dolore, chi desidera il neonato con sé 24 ore su 24 e chi chiede di conservare il sangue del cordone ombelicale. Non si può prescindere, poi, dall’andamento della gravidanza: se insorgono patologie a carico della donna o del nascituro durante l’attesa bisogna necessariamente puntare su un centro hub di II livello che disponga di strumentazione adeguata e di una Terapia Intensiva Neonatale. “Invece, se la gravidanza è fisiologica, la futura mamma può scegliere di farsi seguire presso i consultori e di partorire negli ospedali spoke di 1° livello – ben collegati ai centri hub di 2° – purché vantino adeguati volumi di attività”, spiega Grace Rabacchi.

È fondamentale, quindi, informarsi per tempo per capire se la struttura prescelta risponde alle proprie esigenze: se dispone cioè di un servizio di analgesia epidurale gratuita h24 7 giorni su 7, di una vasca per il parto in acqua e di un servizio di rooming-in 24 ore su 24. E ancora: se è un centro di raccolta del sangue del cordone ombelicale o se è presente una Terapia Intensiva Neonatale.

 

Un portale in aiuto dei cittadini

Tutte queste informazioni sono disponibili su www.doveecomemicuro.it, portale che vanta un database di oltre 2.300 strutture: tra ospedali pubblici, strutture ospedaliere territoriali, case di cura accreditate, poliambulatori, centri diagnostici e centri specialistici.

 

Come eseguire la ricerca?

Per confrontare le strutture è sufficiente inserire nel “cerca” la parola desiderata, ad esempio “parto” e selezionare la voce che interessa tra quelle suggerite. In cima alla pagina dei risultati compariranno i centri ordinati per volume di attività, per vicinanza o in base ad altri criteri selezionabili.

Il semaforo verde indica il rispetto delle soglie ministeriali mentre la barra di scorrimento mostra il posizionamento delle singole strutture nel panorama nazionale.

La valutazione viene fatta considerando indicatori istituzionali di qualità come volumi di attività (dati validati e diffusi dal PNE – Programma Nazionale Esiti gestito dall’Agenas per conto del Ministero della Salute). È possibile inserire nel “cerca” anche un trattamento (analgesia epidurale gratuita h24 7 giorni su 7parto in acquacentro raccolta sangue del cordone ombelicale), o un’area specialistica (Terapia Intensiva Neonatale), quindi restringere il campo alla regione o alla città di appartenenza. Per filtrare ulteriormente i risultati, basta spuntare le caselle della colonnina a sinistra relative, ad esempio, ai Bollini Rosa, il premio assegnato agli ospedali attenti alle esigenze femminili.

 

 

CLASSIFICA REGIONALE STILATA

PER VOLUME DI PARTI

 (Fonte PNE 2018)

 

Le strutture pubbliche o private accreditate che nella Regione effettuano parti sono 39. Il 43,6% rispetta il valore di riferimento fissato a 1000 parti mentre il 28,2% non rispetta il valore minimo di 500 parti l’anno.

 

Le 5 strutture che in Lazio effettuano un maggior numero di parti sono:

  1. Ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma (n° parti: 4242) (cesarei: 24,37%) 3° in Italia
  2. Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma (n° parti: 3967) (cesarei: 14,69%) 5° in Italia
  3. Policlinico Casilino di Roma (n° parti: 3453) (cesarei: 28,1%) 6° in Italia
  4. Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli di Roma (n° parti: 3293) (cesarei: 30%) 8° in Italia
  5. Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma (n° parti: 2133) (cesarei: 33,61%)

 

L’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma e il Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma rispettano la soglia per quanto riguarda la percentuale di tagli cesarei primari, che devono mantenersi inferiori-uguali al 25%. (Le percentuali riportate si riferiscono ai dati del PNE aggiustati*).

 

 

*Dati del PNE aggiustati: nei rapporti del PNE viene effettuato un aggiustamento degli indicatori attraverso l’utilizzo di metodi di risk adjustment, che permettono di studiare le differenze tra strutture e/o aree territoriali (espresse in termini di Rischio Relativo) “al netto” del possibile effetto confondente della disomogenea distribuzione delle caratteristiche dei pazienti. Si tiene conto, cioè, delle possibili disomogeneità esistenti nelle popolazioni studiate, dovute a caratteristiche quali età, genere, gravità della patologia in studio, presenza di comorbidità croniche, ecc., fattori che possono agire come confondenti dell’associazione tra esito ed esposizione.