Aumentano le criticità per l’assegno di cura gravissimi o Caregiver

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La situazione di pandemia in corso ha colpito vari settori e sfere sociali; tra i principali effetti si è registrata in tutta la sua criticità, quello relativo all’assegno di cura gravissimi o Caregiver Familiari.

Si tratta di un sostegno che viene riconosciuto a quelle persone che si trovano in condizione di disabilità, cosiddetta gravissima, quale sollievo alla gestione di una difficilissima situazione familiare.

Parliamo di un sostegno che va a garantire (ormai da tre anni ed in forma sperimentale) un supporto alle famiglie per la gestione della non autosufficienza, attraverso un’assistenza domiciliare o un Caregiver Familiare.

A Roma per l’anno 2021 (a valere sul 2020) è stata stilata una graduatoria ufficiale degli aventi diritto; parliamo di 3.177 persone ufficialmente riconosciute, che hanno formulato una domanda in risposta ad uno specifico bando.

Ma in base a quali criteri sono state stilate queste graduatorie? Lo abbiamo chiesto a Mariella Tarquini, operatrice sociale che da anni si occupa della questione.

“La valutazione”, ci dice “è stata fatta innanzitutto attraverso la valutazione dell’UVM (unità di valutazione multidisciplinare) che ha accertato lo stato di gravità e la corrispondenza con i criteri definiti per la non autosufficienza dal DM 11/2016; attraverso l’ISEE (del nucleo familiare se minorenne o del disabile stesso se maggiorenne); assenza di altri servizi di assistenza”.

“Nella graduatoria, sono individuate le singole posizioni in base a codici di assegnazione rilasciati in sede di formulazione della domanda, è altresì indicato il municipio di appartenenza, non sono però presenti i punteggi individuali in riferimento alla singola posizione”, ha proseguito.

Tuttavia, tante, troppe persone bisognose di una forma di assistenza domiciliare, per insufficienza di fondi, non hanno potuto usufruire di tale sussidio.

Come si è pensato di ovviare al problema?  Dalle linee guida regionali, è emerso un ulteriore criterio che prevede il contributo vada corrisposto in base alla continuità assistenziale. Sacrosanto.

Ma chi magari non ha saputo negli anni precedenti dell’esistenza di questa forma di supporto? Quanti sono i non beneficiari? Si è parlato di 1500 famiglie ufficialmente in graduatoria ma non ammesse al beneficio, altri parlano di 700 aventi diritto cui questa assistenza non verrà corrisposta.  E se questi esclusi si trovano in tale situazione solo perché negli anni scorsi non avevano formulato domanda perché non informati dell’esistenza o perché non ancora in quella condizione di gravità?

Come sempre accade, Comune e Regione giocano al rimpallo di responsabilità ma chi si trova a vivere situazioni di estrema difficoltà gradirebbe solo avere una risposta dalle Istituzioni locali che hanno il dovere di supportare chi non ha ore di riposo né di ristoro. Se casi certificati come meno gravi hanno continuato a percepire quel beneficio mentre situazioni ancora più complesse ne sono state escluse perché non in continuità assistenziale, si sta generando una guerra tra poveri, di non equità sociale.

“In sostanza”, ha concluso la Tarquini, “il fatto di aver avuto la fortuna di fare la domanda prima, non può blindare una graduatoria, lasciando così fuori anche persone più gravi. Non può essere escludente la gravità per ragioni di continuità assistenziale su un fondo sperimentale, chi ha requisiti sanitari e sociali per accedervi, deve essere garantito dalle Istituzioni”.

Se è un LEP (livello essenziale di prestazione riconosciuto dall’art. 117 della Costituzione) tutti gli aventi diritto devono avere un contributo, non si può pensare di ignorare chi si trova in condizione di grave difficoltà.