Enorme eppure così fragile con quel suo corpaccione possente riverso in terra, il calco del cavallo pompeiano ritrovato qualche mese fa a pochi passi del parco archeologico è il primo biglietto da visita della grande mostra che fino al 6 gennaio 2020 racconta alle Scuderie del Quirinale le tante tragiche somiglianze tra due civiltà, la nostra Pompei e la greca Akrotiri, cancellate e nello stesso tempo consegnate all’eternità dalla furia di fuoco e cenere di un vulcano.
Dramma e meraviglia, fascino e terrore, storie di uomini e insieme di pensieri, che nei secoli non hanno mai smesso di intrigare, spaventare, spingere alla riflessione. E anche ispirare l’arte, dalle atmosfere tenebrose dei paesaggi di William Turner al Vesuvio pop di Andy Warhol, dal Leopardi della Ginestra alla Recherche di Proust, dalle sculture di Alviero Martini all’esplosione dei colori di Guttuso o al nero senza appello di Damien Hirst.
Un magma di vita e di morte, di creatività e di distruzione che questa grande mostra punta ad evocare trasformando gli ambienti suggestivi delle Scuderie in una sorta di macchina del tempo, con un percorso puntellato da oltre trecento oggetti d’arte e d’archeologia, alcuni assolutamente mai visti, come l’enorme cassaforte della villa di Oplontis o lo scheletro del fuggiasco ritrovato poco più di un anno fa a Pompei, due reperti che già da soli, con il loro carico di storie, varrebbero la visita. O come le strabilianti pitture parietali, gli arredi, le suppellettili raffinatissime della meno conosciuta Akrotiri, fiorente capitale dell’isola di Thera, l’antica Santorini, sepolta quasi mille e settecento anni prima di Pompei (era il 1613 a.C.) da un’eruzione dieci volte più violenta di quella che tanti secoli più tardi, inghiottì la colonia romana con tutti i suoi abitanti. L’unica differenza, fanno notare però i curatori, è che ad Akrotiri non sono stati ritrovati corpi e nemmeno gioielli, segno che la popolazione, avvertita dai terremoti fece in tempo a scappare e forse a mettersi in salvo.
Promotore e curatore del progetto insieme con il collega greco Demetrios Athanasoulis che guida l’Eforia delle Antichità delle Cicladi, il direttore del Parco di Pompei Massimo Osanna sottolinea che l’idea parte da lontano: “Non è una mostra di cassetta pensata per stupire”, premette orgoglioso presentandola ai due ministri coinvolti, l’italiano Dario Franceschini e la greca Lina Medoni, entrambi entusiasti di un progetto che si presenta in qualche modo anche come un primo passo di un’azione comune in Europa. Per l’istituzione italiana e quella greca, spiega, si tratta piuttosto del frutto di “un progetto di ricerca comune, fortemente voluto, perché siamo convinti che non ci possa essere tutela e tantomeno valorizzazione se non si coltiva la ricerca”. E’ così che ai risultati dell’ultima campagna di scavi condotta in questi anni a Pompei, si affiancano in questo racconto gli studi più recenti sul sito greco – venuto alla luce solo a partire dal 1967 – mentre la partecipazione degli storici dell’arte contemporanea consente di spostare lo sguardo all’oggi e di accendere connessioni tra gli spaccati di vita o le opere di queste due straordinarie civiltà e le riflessioni dell’arte.
Il percorso parte a ritroso proprio da Pompei: mosaici e affreschi, alcuni mai visti con i loro originali colori come la Venere con erote che era sulla via dell’Abbondanza, ricostruiscono l’ingresso in una domus mentre i calchi dei corpi mantengono fisso il pensiero sulla fine tragica di quelle vite.
E poi gioielli in oro, modernissimi e opulenti, lo strepitoso servizio da tavola in argento di Moregine. La cassaforte di Oplontis, pezzo straordinario, con il suo complesso meccanismo di chiusura e le raffinate decorazioni in rame e argento rapisce la curiosità della ministra greca, che è anche archeologa. Al piano di sopra è di scena Akrotiri, con il suo vasellame incredibilmente decorato, dipinti parietali di abbacinante modernità, un tavolino intagliato che sembra uscito da un appartamento borghese dell’Europa di fine Ottocento. I fasti e la tragedia. Nell’ultima sala di Pompei, lo scheletro del fuggiasco adagiato in terra, l’incredibile masso che gli strappò la testa ancora lì sulle sue povere spalle, prende allo stomaco con il suo messaggio così immediato di un destino che può sempre ripetersi.
(di Silvia Lambertucci)