Marcello Vandelli: il simbolismo sposa la sacralità

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Un incontro del tutto casuale quello tra Marcello Vandelli e Don Ercole e l’idea di dar vita a quattordici stazioni, che riprendessero la “via del dolore” il doloroso calvario che Gesù dovette affrontare portandosi una croce sulle spalle, condotto verso il luogo che lo vedrà crocefisso, la collina del Golgota. Ma Vandelli scardina ed al sacro, unisce dei simboli che ci riportano alla caducità del nostro tempo, un tempo che di quel sacrificio, sembra non aver più la sensibilità di percepirne il peso. Le quattordici opere, la cui impronta cromatica non conosce certo mediazione ed arriva diritta, come un pugno allo stomaco, saranno esposte presso la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, in Piazza del Popolo, per tutto il periodo Pasquale ma  non lasceranno mai la Capitale, poiché  donate dal Maestro al Santuario che le ha ospitate. Di Marcello Vandelli Vittorio Sgarbi concluse una presentazione  asserendo ” qualcosa mi dice che di lui  sentiremo a lungo parlare” e questo monito, sembra oggi aver trovato giusta rispondenza. Vandelli, definito dalla critica una delle figure più rappresentative della Pop Art Italiana. Modenese, sessantatreenne, promotore di un simbolismo dalla potenza pittorica indiscussa, che lo isola tanto da piegare una corrente pittorica di simil portata al suo stesso cognome, propone da sempre opere di grande dimensioni, in cui il colore si propaga su grandi lastre di legno e dove forte è non solo la celebrazione della figura femminile, di cui Vandelli risulta essere indubbio conoscitore ma anche i messaggi di contenuto ora provocatorio, ora di aperta denuncia sociale, in un exursus che non sfiora mai la banalità e che lo vede sempre primeggiare. Nei suoi dipinti, dove forte si palesa il senso di non appartenenza a questo mondo, l’artista ritrae spesso il suo mondo bambino, la sensibilità che lo piega al dolore e che lo porta, già in tenera età, a sentirsi diviso in due, chiuso in una morsa  che lungi dal proteggerlo, pare invece saperlo divorare. Un’ennesima sfida, quella sposata nella Capitale ma che siamo certi saprà ancora farsi apprezzare. Il Critico Daniele Radini Tedeschi in occasione dell’apertura della mostra dirà ” l’arte come specchio di un’epoca critica in cui l’artista appare testimone di una revisione totale di Miti, Dei, Orizzonti, con una mostra che vuole cercare punti fissi ponendo le basi per una riscrittura del reale”