La grande bellezza mondiale consegna Messi alla storia

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Mbappé fa tripletta e si arrende: la Francia sconfitta ai rigori l’Argentina campione.

I granelli di sabbia, d’inverno. E dentro, tra il prato e l’aria condizionata d’uno stadio fabbricato di fresco, la finale Mondiale più bella della storia del calcio. Il Qatar, avesse potuto, avrebbe corrotto i parlamenti di tutte le democrazie occidentali per garantirsi uno spettacolo così violento: l’Argentina campione del Mondo, ai rigori, con Messi a dominare 78 minuti, e Mbappé a rovinare tutto nei 10 minuti successivi. E poi, in asfissia, il gol del 3-2 di Messi, e un altro rigore per la tripletta di – sì, davvero – Mbappé. Il resto, manco fossero dettagli, è un riassunto emozionale da sincope ad oltranza, con i comprimari che tentano forzosamente di intrufolarsi nella storia di quei due. Messi. E Mbappé. Come se li avessero digitalizzati, ricreati a tavolino per coniugare al presente la sfida a-temporale del pallone: uno l’erede francese di Pelé, l’altro nell’ombra ormai cancellata di Maradona. I santini di una finale con un tema testa-a-testa e due eserciti alle calcagna. Il giovane che sgomma prima a vuoto poi con l’efficacia di un cecchino; il vecchio che cammina verso la gloria eterna con una pacatezza da professore honoris causa, prima di liberarsi. Stessa squadra nella vita – il Psg di proprietà del Qatar – uno contro l’altro nella parentesi sintetica del Mondiale invernale, un vincitore solo ma ai punti. La staffetta, le metafore, non devono attendere analisi: sono lì, davanti a tutti per 130′ e rotti di calcio mai visto.

L’Argentina è Campione del Mondo quasi per inevitabilità. Il 2022 dopo il 1978 e l’iconico ’86. I minuti scanditi dalla pressione disordinata, dai rimpalli ineleganti, ansiosi, faticosi. Prima che al minuto 23 si fermi l’istante esatto in cui Messi diventa recordman assoluto di minuti giocati ai Mondiali (superando Maldini a quota 2.217). E’ uno scatto cronologico, quasi tattile. Di Maria salta Dembéle, sulla sinistra. Il francese non sa frenarsi, lo tampona. Mentre l’arbitro fischia il rigore, Messi lo ha già battuto. S’è già chiuso in una gabbia di Faraday tutta sua. Silenziosa, ovattata, confortevole. Lloris è trasparente. Non c’è forza, nel tiro. Non c’è urgenza. C’è solo il gol, in purezza. Sembra l’inizio di una fine già scritta. Il raddoppio arriva per ridondanza, al 35′. Con una geometria di invariabile superiorità, mentre la Francia scomposta provava una vana reazione: 5 passaggi per trafiggerla infine con Di Maria. Il Mondiale, con l’Argentina avanti 2-0, ha la forma di Messi. Non l’ha solo vinto, l’ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Ha dettato il ritmo della narrazione, ha imposto la riscrittura della storia, senza dribblare un cammello più del dovuto. E sembra aver disinnescato il duello con Mbappé, che a giugno si era permesso di snobbare Brasile e Argentina: “Giocano un calcio meno avanzato che in Europa”.

E invece quando i pezzi erano già in pagina, i titoli roboavano sulle scrivanie dei direttori, l’Equipe metteva già online la delusione a mezzo stampa – “Le calvaire des Blues” – la partita che pareva solo una quinta della messi-nscena, cambiava faccia. La Francia sparring piegata in due, con Deschamps che per disperazione toglie dal campo Giroud e Dembélé (per Kolo Muani e Thuram) al 40′ del primo tempo, si trasforma: al 78′ fallo da rigore su Kolo Muani. Mbappé non solo fa il suo dovere dal dischetto, ma già che c’è tre minuti dopo pareggia – 2-2 – con un destro al volo. Macron, in tribuna vip, lo inquadrano al 1′ del primo tempo e direttamente, poi, solo all’80, quando istericamente applaude la rivoluzione francese. Interviene la censura Fifa, che per tutto il torneo ha filtrato la realtà per produrre il reality della festa ad oltranza. Al sorriso di Infantino dedicheranno una docu-serie apposita: il “miglior Mondiale di sempre” l’ha vinto il miglior giocatore del mondo, nella partita più bella della storia.

 

Messi resta in campo. Non ripiega. Si ostina a vincere. Si rifiuta di perderla così. Segna il gol del 3-2, lo festeggia per definitivo. Non fosse che a quattro minuti dalla fine Mbappé – e chi sennò? – colpisce un gomito in area. Altro rigore, per la sua tripletta. Non è un pareggio, è una deflagrazione. Lautaro si mangia atri due gol agevoli, e la Francia al 121esimo va a sbattere su Martinez quando Kolo Muani ha sul destro il gol del 4-3 della leggenda. Sono i prodromi dei rigori. Mbappé segna il suo, i suoi compagni no. Balla Messi, la sua Last Dance. Il tempo, lo schioccare delle dita, il piede che batte il ritmo a terra, è quello di Michael Jordan o Roger Federer. La stessa estetica, lo stesso jazz. Ma con una nuova, inedita, archetipica unicità. Il Qatar battezza la Pulce separandolo dal Pibe. Il Messi non incontrollabile, non ribelle, fanciullesco e selvaggio come l’altro. E’ una superstar soffusa, uno che si acciglia e vomita. E che accudisce la prole. Vince tutto, vince il Mondiale pure lui. Ere e contesti diversi, stessa mitologia. L’Argentina si prende la terza stella, vendicando il fallimento russo del 2018. Messi aveva in serbo il gran finale per la gran finale. Scioglie il grugno dell’ultimo mese, la durezza del “cosa guardi scemo” adesso è un’apertura di credito al mondo che ha una sola risposta possibile: guardiamo tutti te, scemo. Abbiamo sempre guardato tutti solo te. Come tanti “mendicanti di bellezza”, per felice definizione di Eduardo Galeano, poi, con calma, passeremo a Mbappé.

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