Dentro il lessico di “Storia di Ettore L.”: un’implacabile tensione descrittiva

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Disponibile in libreria e negli store on line “Storia di Ettore L.”, edito da Scatole Parlanti, di Rocco Della Corte. Giornalista e scrittore, classe ’92, l’autore è operativo soprattutto a Velletri, dove vive, e nella zona dei Castelli Romani, pur avendo origini campane. Il libro è stato anche al Salone Internazionale del Libro di Torino e alcuni passi sono stati interpretati in video, disponibili su Youtube, dagli attori Moni Ovadia, Luigi Pisani e Sebastiano Colla.
Un aspirante docente di letteratura italiana che esordisce come autore di racconti. Una buona notizia. Perché può spazzar via una più che legittima suspicione che ho nutrita fin dall’infanzia verso la casta dei critici, specie se intronizzati su un seggio di cattedra: che, in gran maggioranza, non avendo un “genio creator”, usino di quella posizione di potere per sfogare la frustrazione che provano, soprattutto col bacchettar dall’alto chi creatore lo è davvero. Ovviamente la conferma che la notizia sia buona deve venire dalla qualità dell’opera, che, dal basso di “critico allo stato selvaggio” e di dilettante di creazione letteraria mi accingo umilmente ad “analizzare”. Ho ravvisato un frutto del connubio fecondo fra la sensibilità creativa del narratore e l’esperienza culturale del docente nell’aspetto “psicografico” di tante pagine, ovvero nell’implacabilità della tensione descrittiva della minima variazione di stato psichico dei personaggi. Altra impressione di fondo è stata di diversità tra gli ambienti e personaggi di ogni racconto. Ciò dimostra quella che mi permetto di chiamare “polifania”, “molteplicità di manifestazioni” dell’autore; detto più semplicemente, la sua capacità di calarsi a grande profondità in atmosfere e personaggi estremamente diversi fra loro. Per esempio, l’atmosfera quasi della Torino del calviniano Marcovaldo su cui galleggia “il tranviere degli olmi,” sembra d’un altro mondo rispetto a quella da “spleen” baudelairiano in cui arranca “l’uomo dal passo incerto”. O il pittore “automontatosi” di “Chi vince ha sempre ragione” è stellarmente lontano dal barbone di “Il suono delle cose che contano”, il quale, per evitare l’atterraggio non tollerabile sul deserto della propria solitudine, si libra ininterrottamente su di essa, alimentando continuamente coi libri, come con la fiamma la tenuta in quota d’un aerostato, la propria vita spirituale.
La costante della differenziazione si conserva anche nei tre racconti che “parlano d’amore”, diciamo “chronicae amoris”, “Un viaggio da non chiamare amore”, “Di te non c’è più traccia”, “Il seduttore islandese”, laddove più facile è l’adagiamento in un medesimo cliché. I personaggi maschili, come quelli femminili, hanno ognuno un profilo ben distinto. Riguardo a “Il consapevole imbecille”, differenziantesi un poco dai tre suddetti, oso suspicare che il testo virgolettato, presentato come d’un anonimo scrittore d’un libro trovato dall’io narrante in una biblioteca di Bagnoregio, sia in rapporto con Rocco Della Corte come l’introduzione dell’anonimo nei “Promessi sposi” lo era con Manzoni. Se smentito, ritirerò serenamente la mia illazione. Ciò che in chiusura più mi preme di dire, è che trovo questi racconti, “rilegati” nel personaggio di Ettore L., con una trovata originale, “tranches de vie”, senza ombra di fantasticheria oziosa, di taroccato, di schiavizzato alle mode. Mi piace la “griffe” dell’autore, intesa nel significato originario di “artiglio”, che “leggiamo” in tanti suoi scatti contro tanti “idola” odierni, e che emerge con particolare forza in quell’affondo contro le “alte sfere della cultura” bordeggianti le rive della critica d’arte, che è lo scambio verbale tra alcune figure apicali di quei settori, in “Chi vince ha sempre ragione”.

Mi piace l’umanità soggiacente alle tensioni anche estreme che lo agitano quando delle realtà quotidiane o epocali si dimostrano incompatibili con essa. Vi fiuto una forma aggiornata dello sdegno d’un Giovenale. Concludo con una serie di espressioni che mi paiono particolarmente ben riuscite. “Un esercizio di soverchieria lessicale”. “Nature morte che avevano raggiunto la pace eterna”. “Addentare la notte a bocconi”. “Ansia da prestazione esponenzialmente più alta”. “Malcelata insincerità”. “Mi fastidia anche tornare su ciò che mi dà fastidio”. “Umanità disumana”. “Un porto sicuro e un importo insicuro”. “I goccioloni grassi e scomposti”. “Modernità malata e malandata”. “Il capoluogo annienta la provincia”. “Afflati empatici interessanti”. “Un qualcosa d’invissuto che sembrava accomunarli”. “Degli atteggiamenti (d’una ragazza) che si conficcavano come lame nella carne debole”. “Bolo di pensieri incoerenti ed acidi”.

Prof. Pier Luigi Starace