A ROMA UN CONVEGNO DENSO DI EMOZIONI E SPUNTI DI RIFLESSIONE

- Pubblicità -
Acea Energia - Luce e Gas - Offerta riservata per i clienti del Mercato Tutelato

“Dialogo e Diritti umani”, organizzato a Palazzo Falletti dal Laboratorio Sant’Anselmo con eminenti relatori

di Goffredo Palmerini

- Pubblicità -

Uno straordinario pomeriggio di riflessioni ed emozioni ha offerto sabato scorso 28 gennaio il convegno “Dialogo e Diritti Umani”, organizzato dal Laboratorio Sant’Anselmo nella splendida cornice romana della Sala dei Cherubini di Palazzo Falletti, in via Panisperna 207. “Comunicare col cuore in un tempo di contrapposizioni”, sono parole di Papa Francesco che sembrano nitidamente descrivere lo spirito dell’incontro, come ha sottolineato Vincenzo De Lucia, coordinatore dei lavori del convegno svoltosi nel cuore di Roma in uno degli ambienti più preziosi della storica dimora. Tra i temi trattati anche il razzismo e la legalità, oltre la “potente arma” con cui combattere le violazioni dei Diritti Umani: il Dialogo. Prima dell’apertura del convegno, relatori e pubblico hanno potuto ammirare l’esposizione “Hearts in Africa” curata da Irene Ambrosini e allestita nell’ambiente vestibolo della Sala dei Cherubini. La mostra trasmette l’essenza della semplicità rapportata all’importanza della sanità, almeno quella essenziale, nel continente africano. Dopo il saluto del presidente del Laboratorio Sant’Anselmo, Angelo Zanini, che dell’iniziativa ha brevemente richiamato genesi e significato, il coordinatore dei lavori Vincenzo De Lucia ha presentato al pubblico gli insigni relatori, affidando poi alla dottoressa Ambrosini una breve comunicazione sulla mostra dei piccoli arazzi appena visitata.

 

Hanno abbellito le pareti di castelli reali e nobili per centinaia di anni – ha esordito la curatrice della mostra, Irene Ambrosini -, riscaldando d’inverno e risaltando nella loro bellezza illuminati nella luce estiva. Si potevano arrotolare e portare con sé negli spostamenti tra una residenza e l’altra, nonché salvarli in caso di incendio o saccheggio. Sono gli arazzi. Il termine italiano deriva dal nome della città francese di Arras, dove, nel Medioevo, venivano prodotti i migliori pezzi. È una forma di arte tessile che si pone a metà strada tra l’artigianato e la rappresentazione artistica. Il disegno preparatorio, o cartone, veniva realizzato da un pittore, anche di una certa fama: il risultato finale dipendeva dall’abilità dell’artigiano incaricato dell’esecuzione. La tecnica dell’arazzo era già nota nell’antichità, ma i primi esempi conservati risalgono al Mille (arazzo di San Gedeone) e ai primi del Duecento (arazzo della cattedrale di Halberstadt). La grande epoca dell’arazzo inizia nella seconda metà del Trecento, quando i grandi teli istoriati sono usati per ornare chiese e castelli. In un primo tempo gli arazzi raffigurano motivi araldici, geometrici o vegetali, ma in seguito anche soggetti storici e spesso esploravano questioni morali, attraverso la storia antica, la mitologia classica e la Bibbia e virtù umane attraverso allegorie, ma furono anche un mezzo attraverso cui diffondere concetti di pace e di umanità. Pensiamo ad esempio all’arazzo della “Guernica” di Picasso: un chiaro messaggio contro la guerra. […]

 

Gli arazzi furono usati frequentemente anche come doni diplomatici, dal XIII secolo alla fine del XVIII secolo. Come l’arazzo del 1545 della collezione dell’English National Trust, che rappresenta un incontro diplomatico per concordare un trattato di pace, come suggerisce l’iscrizione latina che si traduce come “fuori dal ferro (le armi della guerra) vengono cose che dureranno per sempre”. Secondo una leggenda, la Regina Matilde di Fiandra, madre di Enrico I nel cui matrimonio intercedette Anselmo, avrebbe commissionato l’arazzo di Bayeux, noto anche con il nome di arazzo della regina Matilde, che descrive per immagini gli avvenimenti chiave relativi alla conquista normanna dell’Inghilterra del 1066, culminanti con la battaglia di Hastings. L’arazzo si prefigge come obiettivo la rappresentazione di una convivenza pacifica tra normanni e anglosassoni: l’opera è espressione di settori del regno anglo-normanno che cercano di elaborare il trauma conseguente all’invasione, di sanare i conflitti e di avviare un’integrazione tra normanni e inglesi, denigrando la guerra come sinonimo della più grande trasgressione dei diritti umani. Più recentemente, i tessuti sono stati usati per sostenere la pace e i diritti umani. Esiste un’organizzazione nell’Irlanda del Nord chiamata Conflict Textiles, la cui collezione è composta principalmente da trapunte e arazzi che evidenziano i conflitti e le violazioni dei diritti umani. Quindi anche il Laboratorio ha voluto condividere il valore di questo elemento artistico e mostrare su arazzo il capolettera di un’opera di Anselmo d’Aosta, Orationes sive Meditationes, cioè delle preghiere in cui l’aspetto affettivo è preponderante rispetto a quello razionale e nel cui prologo Anselmo afferma: “Le orazioni o meditazioni trascritte qui di seguito sono state composte per stimolare la mente del lettore all’amore o al timore di Dio, ovvero perché esamini se stesso”.

 

Il convegno è stato introdotto da Mons. Paolo Cartolari – Dottorato di Ricerca in Diritto Ecclesiastico e Canonico presso la Pontificia Università Lateranense, Cappellano del Sovrano Militare Ordine di Malta e assistente spirituale dell’Accademia Mauriziana – argomentando su “Il valore dei Diritti Umani”, in cui il relatore ha esposto la complessa tematica dei “diritti”, a partire da quelli civili, a quelli sociali e a quelli umani sanciti nel 1948 dall’ONU nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Vincenzo De Lucia ha quindi chiamato a relazionare sul tema “Educare i giovani alla cultura della Vita sul sentiero della Legalità” il prof. Nicolò Mannino, docente in un Istituto superiore di Palermo, specializzato in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, fondatore e presidente del Parlamento della Legalità Internazionale. Grazie ad alcuni incontri culturali svolti con il magistrato Antonino Caponnetto – coordinatore del pool antimafia al quale aderirono Falcone, Borsellino e altri giudici – il prof. Mannino ha dato vita al Parlamento della Legalità Internazionale, un movimento culturale apartitico di forte ispirazione cristiana che incoraggia i giovani, a fianco di magistrati, vescovi, questori, prefetti, dirigenti scolastici, imprenditori, uomini delle Istituzioni, ad essere artefici e protagonisti della loro storia per un “futuro a colori”, potenziando al massimo i talenti naturali di chi desidera mettersi in gioco per divenire “sentinella di un’alba nuova” a favore di una cultura di riscatto dalla violenza e dall’indifferenza. Un forte intervento, quello del prof. Mannino, una testimonianza significativa dell’appassionata opera di docente nei confronti dei giovani e della responsabilità che noi adulti abbiamo nei loro confronti, la necessità di essere testimoni credibili. Rosario Livatino, giovane giudice siciliano ucciso dalla mafia e dichiarato Beato, soleva affermare: “Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credentima se siamo stati credibili”. Bisogna dunque comunicare ai giovani che la vita è un dono, come faceva don Tonino Bello, parlando loro con gioia. Non occorrono prediche, ma testimonianze di vita e gesti autentici.

 

E’ stato quindi il turno del prof. Cheikh Tidiane Gaye, con la relazione “Diritti Umani e pluralismo culturale”. Poeta e scrittore, Laurea magistrale in Metodologie Filosofiche all’Università degli Studi di Genova, presidente di Africa Solidarietà e presidente fondatore del Premio Internazionale di Poesia “Sulle Orme di Léopold Sédar Senghor“, il prof. Gaye, nato in Senegal ma italiano naturalizzato, da sempre partecipa a incontri sulle tematiche legate all’Africa, all’integrazione, all’intercultura e alla letteratura della migrazione. Il contributo del relatore è stata una chiara esposizione della storia dei diritti umani e su come ricercare le migliori forme del dialogo interculturale, partendo dall’assunto che “il vero confronto è accogliere il pensiero altrui”. Dunque mai relazionarsi partendo da posizioni culturalmente dominanti, quasi che si detenga la verità, uno degli errori tipici della cultura “occidentale”. E’ vero che la fonte dei diritti umani sta nell’affermazione “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti” posta all’art.1 della Dichiarazione universale sui Diritti Umani sancita dalle Nazioni Unite, che richiama i princìpi della Rivoluzione francese del 1789. Ma non tutti sanno che la prima Carta dei diritti umani è nata in Mali, nel 1222. L’universalità dei diritti tra culture diverse va sempre negoziata, attraverso il dialogo e la conoscenza interculturale. Il prof. Gaye ha concluso il suo caloroso intervento con la proposta di un “meticciamento culturale” da costruire con l’incontro e il dialogo aperto e rispettoso delle altre culture, perché le identità non vanno omologate ma custodite come un valore. Dunque occorre una nuova grammatica dei valori e dei diritti umani, oltre ogni differenza religiosa e culturale.

 

E’ chiamato al podio il dr. Vincenzo Millimaci per relazionare sul tema “Diritto alla sanità nel continente africano”. Vincenzo De Lucia fa del relatore una sintetica presentazione. Medico chirurgo, con specializzazione in Cardiologia e malattie della circolazione, docente di Diritto Sanitario internazionale, è presidente dell’Associazione missionaria di Volontariato “E ti porto in Africa”. L’associazione, in oltre 30 anni di attività, conta 25mila cure mediche donate, più di 300 bambini adottati e 10mila persone che oggi possono accedere al bene primario dell’acqua, grazie alle opere realizzate a favore di chi vive quotidianamente i drammatici problemi del terzo mondo. La relazione del dr. Millimaci si svolge come una testimonianza dal vivo dei drammi dell’Africa, non solo per la fame, le malattie, lo sfruttamento, le carestie, la desertificazione, ma anche per decine di conflitti e guerre, migliaia e migliaia di morti, di cui nessuno parla e nessuno si preoccupa. Il mondo ha raggiunto nel 2022 gli 8 miliardi di abitanti, ma viviamo sempre più su una polveriera. E non è solo per cause e problemi economici, che certamente esistono, ma per una disastrosa mancanza di solidarietà a livello mondiale e la carenza nel rispetto dei diritti umani essenziali. Quanta violenza sui bambini, il grido di dolore del relatore, il quale afferma come il perché di tanta ingiustizia verso i bambini innocenti spesso lo chiediamo a Dio, quando dovremmo chiederlo a noi stessi, a ciascuno di noi. 13 milioni di bambini muoiono ogni anno in Africa per fame e malattie. Ma nessuno ne parla. Mentre con un antibiotico che costa 3 euro salveremmo un bambino, noi continuiamo a gettare in grande quantità medicine che stanno per scadere. In Africa le ingiustizie sono macroscopiche: i ricchi vanno a curarsi in lussuose cliniche private, che anche nel continente africano abbondano, mentre i bambini muoiono per strada, oppure sono sfruttati per un quarto di dollaro al giorno per cercare diamanti o raccogliere i frutti del cacao. Occorre quindi mettere l’uomo al centro del cambiamento. Le dichiarazioni dei diritti umani sono pezzi di carta sterili se ogni uomo non impegna la propria coscienza e il proprio operato, da solo o insieme agli altri.

 

A chiudere il convegno è chiamato il prof. Hafez Haidar, relazionando sul tema “Il razzismo spiegato ai giovani”. Questo in sintesi il prof. Haidar nelle informazioni rese dal coordinatore De Lucia prima di affidare la parola all’insigne relatore. Hafez Haidar ha studiato Filosofia greca ed araba all’Università di Beirut. In Italia si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi in Archivistica, Paleografia e Diplomatica. Docente di letteratura araba all’Università di Pavia, è scrittore e poeta. E’ considerato uno dei maggiori studiosi delle religioni monoteistiche a livello mondiale e uno dei più assidui fautori del dialogo interreligioso e interculturale. Di notevole cura la sua traduzione del 2001 de Le mille e una notte, pubblicata dall’editore Mondadori, e recentemente la traduzione del Corano per l’editore Diarkos. Haidar è stato candidato due volte al Premio Nobel per la Pace e altrettante per la Letteratura. Dopo aver ringraziato Angelo Zanini per l’invito, l’incipit dell’intervento del prof. Haidar è tutto dedicato alla Pace, alla necessità di pace in tanti scacchieri del mondo, a cominciare dal Libano, il Paese dove è nato in una delle città più ricche di vestigia romane preservate, come lo sono i monumenti realizzati dai Romani a Baalbek. E’ terribile la situazione in Libano, terra eletta, una volta definita la Svizzera del Medioriente. Ma ora il Libano è prostrata da lotte intestine e da un’inflazione esponenziale che mina l’economia e la rinascita del paese, costretto ormai alla dipendenza dall’estero per ogni approvvigionamento. Altrettanto egli grida il bisogno di pace e diritti umani in tutta l’area mediorientale, dalla Siria, all’Iraq, all’Iran dove la protesta contro il regime degli ayatollah ogni giorno è repressa brutalmente con arresti, morti e feriti, specie verso le donne. Bisogno di pace in Ucraina, dove la Russia bombarda con i missili le città e gli obiettivi civili, dopo l’invasione di quello Stato sovrano decisa un anno fa in solitudine da un Putin che si ritiene un dio in terra. Pace grida il continente africano, dove ai vecchi paesi colonizzatori si va sostituendo largamente la Cina, acquisendo terre e risorse, conquistando il continente con i suoi investimenti. Occorre fermare gli armamenti, occorre chiudere le fabbriche di armi, occorre che prima di giudicare bisogna conoscere. La pace va conquistata con la non-violenza, come hanno insegnato testimoni come Mahatma Gandhi, come Martin Luther King, come Nelson Mandela. E per rendere più forte il messaggio, richiamando il Giorno della Memoria appena celebrato, ha declamato la sua poesia “Auschwitz”, poi l’altra “Il bambino di Kiev”, poi altre due toccanti intense liriche, una delle quali sembra riecheggiare “I have a dream” di Luther King, il sogno d’un mondo diverso e migliore, di pace, secondo Hafez Haidar. Emozioni e commozione alla conclusione del suo intervento, un appello all’impegno e alla pace da parte di una Personalità che ha dedicato la sua vita al dialogo e alla convivenza pacifica tra popoli di diversa cultura e religione.

 

Nel pubblico presente, attento e fortemente partecipe ai temi del convegno, significativa è stata la presenza di ospiti illustri, in rappresentanza di fondazioni e associazioni, tra le quali Africa Solidarietà, Parlamento della Legalità Internazionale, Poeti per la Pace, The Friends of L. Ron Hubbard Foundation International e la Onlus “E ti porto in Africa”. Inoltre il direttivo del progetto Anita Fidelis (prof. Alessandro Ricci, dr. Giampaolo Grilli e dr.sse Mara Bertozzi e Milena Morri), progetto internazionale che ha fini umanitari, sociali e di solidarietà, valorizzando in particolare la donna e la femminilità nei suoi valori e in tutte le sue forme ed espressioni. “Tutti uniti nel tracciare una rotta pratica e attuabile, utilizzando come perno il Dialogo, nell’unica guerra che vale la pena di combattere: quella alle illogiche contrapposizioni”, hanno con soddisfazione dichiarato gli organizzatori del convegno Angelo Zanini, Mariangela Faletti e Vincenzo De Lucia. In chiusura dell’evento la consegna, ai relatori e alle altre personalità presenti, dell’omaggio del Laboratorio Sant’Anselmo, un piccolo arazzo incorniciato, riproduzione della miniatura inglese del XII secolo d’un capolettera della citata opera di Anselmo d’Aosta “Orationes sive Meditationes”.

 

Anselmo d’Aosta, noto anche come Anselmo di Canterbury o Anselmo di Le Bec (Aosta, 1033 o 1034 – Canterbury, 21 aprile 1109), fu teologo, filosofo e arcivescovo cattolico, considerato tra i massimi esponenti del pensiero medievale di area cristiana. Anselmo è noto soprattutto per i suoi argomenti a dimostrazione dell’esistenza di Dio. Specialmente il cosiddetto argomento ontologico ebbe una significativa influenza su gran parte del pensiero filosofico successivo alla sua epoca. Nato da una nobile famiglia di Aosta, Anselmo se ne allontanò poco più che ventenne per seguire la vocazione religiosa. Divenne monaco nell’abbazia di Notre Dame du Bec e, grazie alle sue qualità di uomo di fede e fine intellettuale, ne divenne presto priore e poi Abate. Si rivelò presto abile amministratore e, avendo intrattenuto alcune relazioni con il Regno d’Inghilterra, all’età di 60 anni ricevette l’importante carica di Arcivescovo di Canterbury. Anselmo venne canonizzato nel 1163 e proclamato nel 1720 “Dottore della Chiesa” dal pontefice Clemente X.