11° RAPPORTO DI RICERCA “GENERAZIONE PROTEO” – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI LINK

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Il lavoro va creato e non cercato. Il pubblico impiego non è più un obiettivo.

I giovani del 2023 distruggono le certezze delle vecchie generazioni.        Intervistati 4.000 studenti 16-19enni, rappresentativi dell’intero territorio nazionale

Socievoli, solari e determinati, ma all’interno di una società nei confronti della quale provano sentimenti di disgusto e rassegnazione. Famiglia e amici come confort zone. Aperti e inclusivi, dicono “sì” alle scelte bioetiche come fecondazione assistita, suicidio assistito, adozione per coppie omosessuali, ma cresce anche la percentuale dei favorevoli alla pena di morte. Una generazione che si divide tra “gender fluid” e sostenitori dell’approccio binario maschio/femmina. Nel lavoro guardano con favore alla flessibilità, intesa come approccio di vita in quanto sinonimo di libertà. Si sentono a rischio di hate speech e violenza sessuale più che di bullismo e cyberbullismo. A scuola bocciano il voto, che considerano ormai superato nella sua applicazione, quando non finanche ingiusto e “fuori tempo”. Segnali di cambiamento nel cementificato strappo con la politica grazie all’onda rosa.

Questo il ritratto della “Generazione Proteo” tracciato dall’11° Rapporto di ricerca dell’Osservatorio permanente sui giovani dell’Università degli Studi Link, che è stato presentato questa mattina nella sede dell’ateneo alla presenza, tra gli altri, di Gianmarco Mazzi, sottosegretario di Stato per la Cultura, Massimiliano Atelli, capo di gabinetto del ministro per lo Sport e i Giovani, Antonello Giannelli, presidente ANP, Francesco Marchionni, consigliere di presidenza vicario del Consiglio Nazionale Giovani, don Rino Matera in rappresentanza del Vicariato di Roma e Michela Corsi, dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio.

La ricerca ha visto intervistati circa 4.000 studenti italiani 16-19enni, rappresentativi dell’intero territorio nazionale. Ne è uscito un quadro sorprendente: per il 57,9% il lavoro va creato e non cercato. Solo il 20,4% sceglierebbe il pubblico impiego. Al 63,1% la politica non interessa, e solo il 16,9% vorrebbe intraprendere la carriera politica.

«I dati che emergono – sottolinea Carlo Alberto Giusti, rettore dell’Università degli Studi Link – restituiscono il ritratto di una generazione coraggiosa e consapevole, alle prese con una fase storica difficile e complessa»«L’11° Rapporto – spiega Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio “Generazione Proteo” – ci consegna l’identikit di una ‘wave generation’, la cui energia positiva rischia quotidianamente di infrangersi contro una società che non riesce più a parlare ai giovani, che non ha le loro stesse argomentazioni. L’onda si è tuttavia generata, e mai come in questo momento storico c’è da sperare che essa non si infranga contro quegli scogli rappresentati dalla società che noi stessi adulti abbiamo costruito. Al contrario, il nostro augurio è che i giovani possano cavalcare la cresta dell’onda, come si confà a dei portatori sani di energia quali essi sono». «Anche quest’anno – aggiunge la prof.ssa Marica Spalletta, condirettore della ricerca – i giovani si fanno ‘portatori attivi’ di un’idea di movimento, che essi sperimentano nella propria quotidianità, nella sua dimensione più strettamente emozionale e al contempo in uno spazio anche virtuale. E non a caso ‘movimento-emozioni-virtuale’ sono le tre keyword riassunte nel claim della due giorni #ProteoBrains2023, ovvero #YouthIn(e)Motion e che si apre oggi con la consegna del Rapporto di ricerca dell’Osservatorio ai giovani, alle Istituzioni e alla società civile».

 

LA RICERCA

Socievoli, solari, determinati, ma anche disgustati e rassegnati nei confronti della società in cui vivono. L’identikit dei giovani italiani sconfessa i tradizionali stereotipi dell’anticonformismo e della trasgressione. I giovani italiani hanno un’accezione positiva di sé stessi: il 21,9% si definisce “socievole”, il 16% “solare”, il 20,2% “determinato”, il 10,8% “libero” e il 10,4% “creativo”. Per contro, essi si sentono scarsamente rappresentati da alcuni tradizionali stereotipi associati all’universo giovanile, quali l’anticonformismo (4%) e la trasgressione (2,6%). «A questa percezione positiva di sé stessi – dichiara il prof. Nicola Ferrigni – fa da contraltare un giudizio assai negativo nei confronti della società, verso cui i giovani provano disgusto e rassegnazione, e solo in misura minore i tipici sentimenti giovanili della rabbia e della ribellione». Nei confronti della società, a prevalere sono infatti sentimenti di disgusto (20,3%), rassegnazione (19,8%) e indifferenza (19,6%), mentre rabbia e ribellione si attestano rispettivamente al 16,2% e al 7,4%.

Una generazione “gender fluid”: 1 su 2 considera il genere non binario e/o fluido. «I giovani – osserva la prof.ssa Spalletta – confermano una propensione al superamento dei tradizionali, talvolta rigidi, schemi del passato, e questo a cominciare proprio dal genere». Circa la metà degli intervistati considera infatti il genere rispettivamente “non binario” (13%) e “fluido” (34,5%), a fronte del 47,7% per cui esso resta esclusivamente binario. Nell’era del “gender fluid”, i giovani guardano tuttavia con spirito critico alle sempre più ricorrenti richieste di cambio di sesso che provengono dai loro coetanei: se il 30% pensa infatti che esse siano la conseguenza di una accresciuta consapevolezza della propria identità e il 25,2% ritiene che sia il sintomo di una non accettazione di sé, il 20,2% denuncia come la scelta di cambiare sesso sia solo una “questione di moda”.

Una generazione cui mancano motivazioni, equilibrio e serenità. «La ricerca – prosegue il sociologo Ferrigni – ci consegna l’immagine di una generazione che trova i propri riferimenti umani e valoriali soprattutto nella famiglia e nel gruppo dei pari. Se la sfera individuale e privata rappresenta dunque un punto fermo, ben più complesso è il rapporto con la dimensione più esterna, e in particolare con quella società che non riesce a fornire loro sufficienti motivazioni. Una situazione che favorisce lo sviluppo di una cultura dell’io in costante difesa e chiusura nei confronti del mondo esterno». Chiamati a indicare ciò che maggiormente manca alla propria generazione, il 25,6% chiama infatti in causa le motivazioni, il 18,5% l’equilibrio, il 18,3% la serenità e il 15,5% la speranza. Ciò che invece è frutto del libero arbitrio, quindi di una scelta personale, come gli affetti, non viene visto come una mancanza ed è infatti segnalato solo dal 4,2% dei ragazzi.

Aperti e inclusivi: sì donazione degli organi, unioni miste e scelte bioetiche. Il 72% è favorevole all’adozione dei figli per le coppie omosessuali, il 74% al suicidio assistito. Eppure, aumentano i favorevoli alla pena di morte. I giovani italiani confermano il proprio slancio altruistico e quella forte predisposizione all’inclusione già emersa nei precedenti Rapporti dell’Osservatorio “Generazione Proteo”. Il 92,4% ribadisce infatti il proprio “sì” alla donazione degli organi, l’89,2% guarda con favore al tema delle unioni miste e il 72% all’adozione di figli per coppie omosessuali. Essi mostrano altresì una marcata apertura su scelte bioetiche quali aborto (83,7%), fecondazione assistita (81,4%), suicidio assistito (73,9%), nonché esprimono il proprio assenso alla distribuzione dei preservativi a scuola (73%). Rispetto al 23% registrato nel 2022, cresce al 27,9% la percentuale dei favorevoli alla pena di morte.

L’interesse per la politica si conferma ai suoi minimi storici. La responsabilità? Principalmente dei partiti politici. «L’11° Rapporto di ricerca – continua Marica Spalletta – conferma il disinteresse dei giovani italiani nei confronti della politica, e pone drammaticamente sul banco degli imputati i nostri partiti». La curva ascendente del disinteresse, già registrata negli scorsi anni conferma quest’anno i minimi storici raggiunti nel 2022, con il complessivo 63,1% dei giovani che si dichiarano “poco” (41,2%) o “per nulla” (21,9%) interessati alla politica. A finire sul banco degli imputati sono i partiti politici, che il 29,6% considera incapaci di rappresentare gli interessi dei cittadini e il 21,7% per nulla interessati alle giovani generazioni.

Solo il 17% dei giovani italiani vorrebbe intraprendere la carriera politica. Lo scarso interesse dei giovani nei confronti della politica è confermato dal solo 16,9% di intervistati che vuole intraprendere tale carriera. Il 67,5% rifiuta invece tale possibilità, adducendo disinteresse (“la politica non mi piace”, 46,6%) o assenza di attitudine personale (“non mi sento portata/o”, 40,9%).

Meloni e Schlein: sicuramente una svolta epocale e di ispirazione, ma al di là dal genere a interessare è la competenza. «Alla “riabilitazione” dei nostri partiti politici – continua la prof.ssa Spalletta – contribuisce in parte l’onda rosa degli ultimi mesi: i ragazzi guardano infatti con favore agli esempi di Meloni e Schlein, li considerano di ispirazione. Eppure, al di là del genere, quello che loro interessa è la competenza di chi gestisce la cosa pubblica». Il 38,1% degli intervistati guarda infatti all’ascesa di Meloni e Schlein con apparente disinteresse, dichiarandosi maggiormente interessato al fatto che, ai vertici della politica, ci siano persone competenti a prescindere dal genere. Il 30,4% ritiene invece che una leadership anche femminile dovrebbe essere la normalità. Per l’11,8% figure come Meloni e Schlein possono essere fonte di ispirazione per tante ragazze.

A scuola: liberi di esprimere l’identità sessuale, il credo e le opinioni, ma non le proprie paure. A scuola i giovani si sentono fortemente liberi di esprimere la propria identità sessuale (84,9%), la cultura della propria etnia (83,5%), il proprio credo religioso (79,8%), le proprie opinioni (70,6%), in misura minore le proprie idee politiche (61,6%). Per contro, il 59,7% di studenti a scuola non si sente libero esprimere le proprie paure e debolezze. «Un dato, quest’ultimo – rimarca il prof. Ferrigni – che non può non far riflettere, perché esemplifica un potenziale fallimento per la scuola intesa come luogo di crescita».

Insegnanti: promossi su competenze, preparazione e condotta. Bocciati su tecnologie, capacità di ascolto e obiettività nelle valutazioni. Quelli bravi, tuttavia, lo sono per vocazione personale. Chiamati a valutare i propri insegnanti, i giovani ne premiano la preparazione (46,9% buono; 35,2% ottimo), le competenze didattiche (47,1% buono; 16,4% ottimo) e la condotta (43,9% buono; 21,9% ottimo). Per contro, emergono giudizi più critici circa la padronanza delle tecnologie (22% insufficiente; 44,5% sufficiente), la capacità di ascolto (20,6% insufficiente; 34,9% sufficiente), e l’obiettività nelle valutazioni (23,2% insufficiente; 36,5% sufficiente). Permane altresì il gap tra lo slancio individuale del docente (il 42% degli intervistati ritiene infatti che gli insegnanti più bravi lo siano per una vocazione personale) e le sovrastrutture della scuola (burocrazia, programmi rigidi, ecc.).

Il voto a scuola? Bocciato, perché ingiusto, “fuori tempo”, e poco attento alla creatività individuale e alla capacità di problem solving. A detta dei giovani intervistati, il 36,3% non reputa importante il voto, mentre il 24,7% lo giudica ingiusto e arbitrario, il 9,2% “fuori tempo”. Per contro, il 17,8% promuove invece il voto, considerandolo meritocratico, mentre per il 10,5% esso è imprescindibile. Avendo la bacchetta magica, i giovani cambierebbero l’attuale sistema di valutazione, che a loro avviso dovrebbe tener conto anche della capacità di risolvere i problemi (35,9%), della creatività individuale (26,8%), del saper lavorare in gruppo (19,3%).

Il lavoro si “crea” (non si cerca) e la flessibilità contrattuale come “must”. Posizioni divergenti sul pubblico impiego, ma a volerlo è solo 1 ragazzo su 5. «Al lavoro i giovani si approcciano in modo diverso rispetto al passato – prosegue il sociologo Ferrigni  e legano le sorti future del proprio benessere alla propria capacità creativa e autoimprenditoriale». Il 57,9% degli intervistati ritiene infatti che il lavoro vada creato, piuttosto che cercato (come sostiene invece il 32,5%). Al contempo, essi guardano con favore alla flessibilità, che per l’85% degli intervistati significa poter gestire in autonomia il rapporto tra tempo e guadagno. Opinioni discordanti, invece, sul pubblico impiego, che il 32,1% considera come un lavoro noioso e ripetitivo, mentre il 29,2% lo associa a stabilità e sicurezza economica. Solo 1 ragazzo su 5 (20,4%), tuttavia, vorrebbe lavorare nel pubblico impiego.

Uno sguardo al futuro: uno lavoro che dia soddisfazione, libertà e senza “capi”. In cima alle paure giovanili svetta il timore di doversi accontentare di un lavoro diverso da quello che si sogna, segnalato dal 33,2% degli intervistati, nonché l’ansia di scoprirsi impreparati dal punto di vista delle competenze pratiche (20,7%).

Uno per tutta la vita? No, il lavoro va continuamente rinnovato e mixato. Solo il 17,6% immagina un lavoro unico per tutta la vita, a fronte della maggioranza secondo cui il lavoro dovrebbe essere continuamente rinnovato (40,9%) e altrettanto diversificato in base all’età (23,7%). Rispetto alla prospettiva del guadagno (23,2%), nella scelta del lavoro futuro il 33,1% privilegia la soddisfazione personale, il 14,9% la libertà, il 9,8% il non avere “padroni”.

Società violenta, le cause: insoddisfazione personale e genitori sempre meno presenti. Strada e mezzi di trasporto pubblici come luoghi per eccellenza dell’insicurezza percepita. Nel percepito giovanile, due sono le motivazioni alla base dell’attuale escalation di violenza: il 25,8% segnala infatti l’insoddisfazione personale, il 25,1% una sempre minor presenza dei genitori. A seguire, il 20,6% menziona il clima di odio trasmesso dai social network. Quanto ai luoghi in cui ci si sente meno sicuri, in cima alla lista svettano la strada (27,4%) e i mezzi di trasporto pubblici (23,8%), seguiti da discoteche e locali (19,1%).

Il 22% teme di essere vittima di hate speech, il 21,4% di violenza sessuale. Bullismo e cyberbullismo fanno molto meno paura. «Tra i principali atti di violenza di cui i ragazzi intervistati temono di essere vittima – commenta Ferrigni – il 22,7% menziona l’hate speech, il che è per molti versi “fisiologico” rispetto a una generazione la cui esperienza quotidiana prende forma in larga parte sui social network, luogo per antonomasia dove i discorsi d’odio nascono e si diffondono. Purtuttavia, il dato più allarmante sta senza dubbio in quel 21,4% di intervistati che teme di poter essere vittima di violenza sessuale». Minor importanza viene invece attribuita a bullismo e cyberbullismo, che preoccupano “solo” il 15% degli intervistati.

Dei problemi si parla in primis con amici e genitori. Il 10% si rivolge invece allo psicologo. A conferma della grande importanza che i giovani attribuiscono alle relazioni cosiddette “intime”, il 32,3%, se ha un problema, ne parla con gli amici, mentre il 21,1% si confida con i genitori; l’11,8% si rivolge invece al fidanzato/fidanzata, e l’11,3% a fratelli/sorelle. Il 10,4%, invece che rivolgersi alla sfera familiare/amicale, preferisce affidarsi a figure professionali esterne quali per esempio lo psicologo.

I social accrescono il disagio psicologico dei giovani. Oltre il 40% sarebbe d’accordo a vietarli ai minori di 15 anni sulla base del provvedimento attualmente allo studio in Francia. I giovani sono convinti che i social contribuiscano ad accrescere il disagio psicologico dei giovani, il 51,7% “abbastanza”, il 23,9% “molto”. A conferma di ciò, il 41,4% sarebbe d’accordo se anche in Italia si adottasse il provvedimento attualmente allo studio in Francia, che prevede di vietare i social ai minori di 15 anni.

Il 15% dei giovani ricorrerebbe a forme di autolesionismo come segno di identità. L’82,6% dichiara che per nessun motivo ricorrerebbe a forme di autolesionismo, mentre il complessivo 15% lo farebbe come reazione a qualcosa che lo ferisce (6,6%), per sfogare la rabbia (5,4%), per gioco (1,8%) o per sentirsi come gli altri (1,2%).

Allarme challenge: un giovane su quattro non esclude di fare/farsi del male pur di partecipare. Il 72,2% degli intervistati esclude la possibilità di fare/farsi del male pur di partecipare a una challenge con gli amici, a fronte del 3,6% che risponde invece affermativamente. C’è tuttavia un allarmante 22,4% che non esclude a priori questa possibilità, riservandosi di decidere in base alla richiesta.

Baby gang: per sentirsi parte del branco e perché affascinati dal “cattivo”. Per il 31,9% degli intervistati, chi sceglie di entrare in una baby gang è mosso dal desiderio di “sentirsi parte del branco”, seguito dal cosiddetto “fascino del cattivo”, segnalato dal 20,7%. Nel percepito giovanile, l’aggettivo che meglio descrive il capo di una baby gang è “delinquente”, con il 62,4% delle segnalazioni; il 22,8% sceglie invece l’aggettivo “prepotente”.

Generazione Netflix: il colosso dello streaming si conferma leader indiscusso nel mercato dei consumi giovanili. Le serie tv: veicoli di stereotipi e costruttori di una società gender inclusive. Netflix si conferma indiscussa regina del mercato dell’on demand (67,4%), seguita a larghissima distanza da Amazon Prime Video (7,6%) e Disney+ (4,5%). Permane una percentuale di intervistati (7,5%) che continua a praticare forme di streaming illegale. Guardando alle serie tv, il 34,8% le considera potenti costruttori di una società inclusiva, nonché strumenti utili a sensibilizzare contro la violenza sulle donne (12,4%) e veicoli di gender equality (11,6%). I più critici ritengono al contrario che esse siano uno strumento attraverso cui si veicolano stereotipi di genere (22,6%) o tramite cui si offrono rappresentazioni grottesche della nostra società (10%).

OnlyFans: per la metà dei giovani è un modo per fare soldi e una forma di lavoro. Il 6% ha un account, il 4,9% lo ha avuto Nell’immaginario dei giovani italiani, la scelta di condividere contenuti su OnlyFans si lega principalmente a motivazioni di carattere utilitaristico/economico: il 38,9% lo considera infatti un modo per fare soldi, l’11,1% intravede in tali attività un lavoro/una carriera. Per contro, il 27,7% pensa si tratti di una forma di mercificazione del proprio corpo, e il 13,5% non esita a definire tale attività come vero e proprio atto di pornografia. Se si pensa altresì che OnlyFans è vietato ai minori di anni 18, non è da sottovalutare che il 6% dichiari di avere un account, cui si aggiunge il 4,9% che dichiara di averlo avuto, seppur momentaneamente.