VIOLENZA DONNE. NEI TRIBUNALI ITALIANI PAS E BIGENITORIALITÀ CON MALTRATTANTI CONVEGNO D.I.RE CON DIREDONNE SU AFFIDO MINORI

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Sempre piu’ spesso viene messa in
discussione la competenza genitoriale delle donne che escono
dalla violenza. Se in oltre trent’anni, come rete dei centri
antiviolenza, siamo riuscite a rassicurare le donne sul fatto che
possono uscire dal matrimonio senza perdere i propri figli, ora
le cose stanno evolvendo in modo molto negativo e, ancora prima
del Ddl Pillon, nei nostri tribunali si fa uso dell’alienazione
parentale contro queste madri”. Sono le parole preoccupate di
Raffaella Palladino, presidente di D.i.Re-Donne in Rete contro la
Violenza, che ha aperto il convegno organizzato stamattina nella
sede dell’Agenzia Dire a Roma dalla rete nazionale dei centri
antiviolenza, in collaborazione con DireDonne. Tra le relatrici
dei tre panel dell’incontro intitolato ‘Violenza contro le donne
e affido dei minori. Quando la giustizia nega la violenza’, anche
Valeria Valente, senatrice Pd e presidente della Commissione
parlamentare sul femminicidio, e Paola Di Nicola, magistrata del
Tribunale di Roma.
È la sindrome dell’alienazione parentale, comunemente
conosciuta come Pas, il “nervo scoperto nella difesa delle donne
nei processi civili” per la responsabile delle avvocate civiliste
di D.i.Re, Concetta Gentili, che afferma: “Accompagnare una donna
nel processo legale civile e minorile e’ diventata una guerra ed
e’ una guerra far si’ che nelle aule di giustizia venga
riconosciuta la violenza”. Il problema, per Gentili, e’ che la
giustizia civile e l’intero sistema giudiziario “quasi mai
riconoscono la violenza di genere”, cosi’ come spesso “non si
legano ad essa conseguenze chiare”. Le donne, quindi, “vanno in
tribunale consapevoli che non e’ sicuro che venga riconosciuta la
violenza”, una consapevolezza tanto piu’ dolorosa quando ci sono
di mezzo i figli.
Sono proprio i bambini i piu’ fragili di
fronte ad un sistema che non li ascolta e sembra difendere a
tutti i costi il principio della bigenitorialita’, anche in
presenza di un uomo maltrattante. Un concetto che si lega a
quello di “responsabilita’ genitoriale, nato nel 2013 con la
legge sull’equiparazione degli status. Nei processi si configura
un’inversione nella ricerca dell’adeguatezza e anziche’ chiedersi
se l’uomo violento sia un genitore adeguato, ci si chiede se la
donna che ha subito violenza sia una madre adeguata”. Una
“trappola del percorso legale” che spesso si basa sulla Pas,
“teorizzata da Richard Gardner e recentemente sconfessata dalla
Cassazione”, dice l’avvocata, debitamente sostituita dai suoi
fautori con il “criterio dell’accesso”, in base al quale per
dimostrare di essere un buon genitore “devi dimostrare di
favorire l’accesso all’altro genitore, che e’ un diritto del
figlio, dimenticando di fatto la violenza subita”.
Un abuso sulla pelle delle donne e dei bambini che spesso
passa dalle Ctu, le Consulenze tecniche d’ufficio, redatte da
psicologi, psicoterapeuti o psichiatri nominati dal giudice
“perche’ da solo non ha la competenza da valutare”, spiega alla
Dire Manuela Ulivi, avvocata civilista e presidente della Casa di
accoglienza donne maltrattate di Milano. Capita che “la violenza
venga declassata a conflitto, che non venga vista”, dice Ulivi
nel corso del convegno portando dei casi concreti e puntando il
dito anche sui costi delle consulenze, “3-5mila euro per quello
di parte, 2mila per quello d’ufficio”. E capita anche che non
venga preso in considerazione il penale, le denunce delle donne,
perche’ “la priorita’ e’ mantenere il rapporto con entrambe i
genitori a tutti i costi, costi poi pagati dai figli, che se non
vengono ammazzati spesso sono vittima di omicidio psicologico,
ostaggio di padri violenti”.
A leggere le difficolta’ delle donne nei
tribunali italiani in una cornice politica e’ Valeria Valente,
che entra nel dibattito chiamando in causa il senatore leghista
Simone Pillon: “Ieri ha detto una cosa agghiacciante: che la
violenza sulle donne non e’ diversa dalla violenza in generale e
non va trattata in maniera distinta”. Il Ddl Pillon “da’ uno
schiaffo a tutte le donne in modo aggressivo e legittima cio’ che
gia’ accade. Le resistenze, gli elementi regressivi e la messa in
discussione dei diritti e degli spazi delle donne sono sempre
esistiti, ma oggi sono sdoganati”. Per questo, per la presidente
della Commissione sul femminicidio “occorre alzare la voce contro
questa deriva culturale”, mentre nei tribunali la parola d’ordine
deve essere “formazione”, per fare in modo che “magistrati,
psicologi, forze dell’ordine e assistenti sociali siano portatori
di un’adeguata cultura, scevra da pregiudizi e sterotipi. Per far
emergere cio’ che accade- fa sapere Valente- invieremo alle Corti
d’appello un questionario molto orientato”.
E la magistrata Paola di Nicola rincara: “Dobbiamo essere
controllati sotto il profilo culturale e del sessismo che e’
dentro le nostre sentenze. La magistratura va controllata e se
sbaglia deve pagare un prezzo. Se non ci sono piu’ femminicidi e’
solo un caso. Non basta indossare una toga o diventare assistente
sociale, il giudizio e’ inquinato dal pregiudizio, che si
struttura nel contesto sociale culturale e valoriale in cui
cresciamo”.
VIOLENZA DONNE. L’ESPERTO: IN CONSULENZE TECNICHE D’UFFICIO PREGIUDIZI CLINICI
GRIMOLDI: CONSIDERARE ELEMENTI DI RILEVANZA PENALE E VIOLENZA
(DIRE) Roma, 17 lug. –
 “Ci sono delle distorsioni nelle
consulenze tecniche d’ufficio (ctu) che fanno capo a dei
pregiudizi clinici evidenti”. È questo l’assunto da cui parte
Mauro Grimoldi, psicologo e consulente tecnico d’ufficio del
tribunale di Milano, al convegno nella sede nazionale
dell’Agenzia Dire a Roma ‘Violenza contro le donne e affido dei
minori. Quando la giustizia nega la violenza’, organizzato da
D.i.Re-Donne in rete contro la violenza in collaborazione con
DireDonne.
“C’e’ un innocentismo che basa il possibile errore in cui
incorre il consulente tecnico d’ufficio sul fatto che
tradizionalmente ci si concentri solo su fenomeni di tipo
psichico. La realta’ che viene in qualche modo presentata dalle
parti- spiega l’esperto- per quanto sia diversa, spesso viene
trascurata. In piu’ si pensa erroneamente che i fenomeni di
violenza – in particolare intrafamiliare e di genere – debbano
essere necessariamente espunti dalla (ctu), essendo considerati
un tema di rilevanza solo penale. Non e’ cosi’, la convenzione di
Istanbul in primis e la recente delibera del Csm del maggio 2018
prescrivono con molta chiarezza, come dovere del consulente
tecnico d’ufficio in ambito civile, il prendere in considerazione
anche gli elementi di rilevanza e di interesse penale e i fatti
relativi alla violenza”.
Grimoldi avanza dei consigli per
migliorare le ctu. “Considerare quegli elementi che anche la
letteratura scientifica indica in grado di produrre pregiudizi
sui minori- prosegue lo psicologo- in primis tra questi l’aver
assistito o l’aver subito tutti i tipi di violenza che possa
subire un bambino. Non e’ giustificato in nessun modo e da
nessuna delle linee guida riguardanti la responsabilita’
genitoriale il trascurare questo elemento. Questo primo dato fa
capo alla responsabilita’ del consulente- afferma Grimolti- il
secondo elemento riguarda invece il quesito della consulenza. Il
ctu lavora sulla base di una domanda che viene fatta dal giudice,sarebbe opportuno se il giudice inserisse nella domanda degli
aspetti di tipo psicologico e quindi di pertinenza delle risposte
che deve dare un consulente tecnico, che sia psicologo,
psichiatra o neuropsichiatra”. Il consulente tecnico pensa, ad
esempio, al “valutare la congruita’ delle reazioni affettive di
un genitore, alla capacita’ di tollerare la frustrazione o di
moderare gli impulsi. Questa sarebbe una domanda corretta alla
quale il ctu sarebbe obbligato a rispondere e che attiene a
quelli che possono essere, al meno sul piano potenziale, degli
episodi di violenza”.